Il per-dono

Contenuto

  • L’essere umano non riesce a trovare la felicità, angosciato dalla precarietà della sua vita, cerca di appropriarsene a spese del prossimo
  • Dio cerca di rassicurarlo sul suo amore incondizionato. Qualunque siano gli errori degli uomini, il dono dell’amore di Dio si rinnova sempre per ciascuno dei suoi figli.
  • Per-donare significa ripetere, rinnovare il dono. Trovare la speranza del perdono presso Dio, attingere alla sua infinita misericordia, significa anche diventare una fonte di amore per gli altri, fiduciosi in un dono inesauribile.

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  1. Agostino sulla felicità
  2. Genesi 1, 2 Ruah, lo spirito di Dio è femminile
  3. Genesi 3, 1-24 La colpa
  4. Genesi 4, 1-15 Caino e Abele
  5. Luca 23, 32-43 Il malfattore perdonato sulla croce

IL DONO DELLA FEDE, LA LIBERTÀ DELL’UOMO, IL PER-DONO

«Noi amiamo perché lui [Dio] ci ha amati per primo» (1 Giovanni 4, 19). Ecco la premessa: questo amore gratuito di Dio per tutti. Il dono eterno della benevolenza divina, del suo amore divino, paterno e materno, per i suoi figli, irrevocabile. (Vedi Genesi 1, 2 Ruah, lo spirito di Dio è femminile) Poi, l’essere umano, rompendo il rapporto filiale e fiducioso che lo avrebbe condotto, lasciandosi guidare dal padre, verso l’amore e la beatitudine perfetti, se ne va da solo, smarrito, verso strade che lo separano dal suo prossimo. (Vedi l’articolo su Genesi 3, 1-24 La colpa e Genesi 4, 1-15 Caino e Abele). Privato della fiducia nel dono eterno e incondizionato dell’amore di Dio, ne conseguono rivalità, gelosie, tentativi di assicurare la perpetuità della propria vita a spese degli altri. Se la vita non è più considerata come un dono di Dio, allora è a immagine dell’uomo: corruttibile. Se lo spirito non è collegato al soffio divino, allora rimane solo la fragilità di un soffio umano che se ne va. Da ciò deriva il desiderio umano di appropriarsi di questa vita, di acquisire certezze che lo rassicurino contro la sua precarietà. È in questo momento che l’essere umano entra in una mentalità mercantile nei confronti di Dio, nell’illusione di possedere ciò che si è procurato con i propri meriti o con il proprio lavoro. È la ricerca di una beatitudine eterna in ciò che non è in grado di procurarla. (Vedi Agostino sulla felicità)

Il libero arbitrio dell’essere umano non consisterà quindi solo nel poter affrancarsi da Dio, dalla relazione filiale e gratuita, ma avrà bisogno di tutte le sue facoltà, di tutta la sua volontà umana, per rendersi conto del proprio errore: non c’è felicità al di fuori della relazione filiale fiduciosa. Separato dal prossimo, al di fuori della relazione fraterna con il resto dell’umanità, non c’è felicità.

È qui che interviene il per-dono di Dio, cioè la ripetizione eterna e infinita del dono eterno dell’amore divino per i suoi figli. Per-donare significa ripetere il dono ancora e ancora.

Ma l’uomo deve prima rendersi conto dei propri errori, del proprio smarrimento, dell’impossibilità di trovare pace se la relazione con Dio e con l’altro è ferita. È quando i propri errori cominciano ad apparire che si arriva al momento critico: come sperare che possano essere cancellati? Se qualcuno ha danneggiato il legame che lo unisce al prossimo, al fratello, alla sorella, alla moglie, alla madre, al padre, se questo legame è ferito, come potrebbe guarirlo? A volte sembra impossibile riparare la divisione, ma ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio. È in questo momento che interviene la necessità della parola divina, della buona novella del rinnovamento dell’alleanza filiale ed eterna che ci assicura un perdono possibile. La voce divina, assicurando il suo per-dono, offre una speranza al di là di ogni speranza: il dono irreversibile della filiazione divina. Ci ripete, attraverso tutta la Bibbia: tu sei il mio figlio prediletto, non ti ho mai abbandonato. Egli è il buon pastore che va alla ricerca della pecora smarrita, è il padre che aspetta il ritorno del figlio.

Per quanto grandi possano essere le nostre colpe, l’apostolo Giovanni ci assicura: «Se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» (1 Giovanni 3, 20). In risposta a questa speranza interviene la parola e l’azione divina che ci rassicura e ci conduce a lui. «Mio Padre opera sempre » (Giovanni 5, 17), dice Gesù, la sua parola agisce continuamente come il buon pastore che va a cercare la pecora smarrita. Viene in soccorso della pecora che si rende conto di essere sull’orlo del precipizio e non sa più come andare avanti, come muoversi. Offre la speranza, la certezza, la promessa del suo perdono. Fa nascere la speranza di un possibile perdono da parte del padre. È la parabola del figliol prodigo che mostra allo stesso tempo la gioia del ricongiungimento del figlio minore e la sofferenza e la rabbia del figlio maggiore che non gioisce, non festeggia, prigioniero della sua mentalità.

Il padre gli ripete: «Figlio (τέκνον), tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo » (Luca 15, 31). Questa è la proposta della fede da parte di Dio, cioè della fiducia nell’amore incondizionato di Dio, nel dono del suo amore sempre offerto, nel suo perdono, nel rinnovamento dell’alleanza, nell’affermazione e nella rivelazione del suo amore eterno, mai ritirato all’uomo.

È in quel momento che avviene l’intervento divino, è in quel momento che Egli suscita in noi quella fede che ci fa credere in un perdono possibile. È in quel momento che Dio è attivo, sempre all’opera: ci rassicura sempre, attraverso la parola dei profeti, attraverso la sofferenza di suo Figlio, che ci mostra la portata del suo amore e della misericordia del Padre per i suoi figli, il dono della sua vita. Egli può offrire la sua parola a ciascuno di noi, nel momento in cui ci rivolgiamo a lui avendo perso la speranza nella possibilità di un perdono. Quando l’essere umano ha riconosciuto i propri errori, la sventura che si è procurato e si trova in uno stato di estrema afflizione e vorrebbe riparare ai propri errori: è in quel momento che interviene la parola divina che esprime all’uomo il suo perdono, quella speranza che va oltre ogni speranza, generata nell’uomo dall’opera divina, Cristo Gesù.

È in questo senso che Dio salva chi vuole, non nel senso che potrebbe non offrire a chi lo chiede e che potrebbe rifiutare il suo perdono, il suo amore di padre, ma nel senso che aspetta che l’uomo torni a lui, nel senso che nel momento in cui gli manifesta il suo amore, quando l’uomo arriva al pentimento, alla conversione, cioè quando cambia la direzione del suo cammino e cerca la salvezza, è allora che appare più chiaramente la volontà divina di salvarlo. Infatti, come in ogni relazione tra due persone, l’interazione è continua, ognuno pensa all’altro ed è in dialogo con l’altro, anche in sua assenza, ma l’amico si riconosce nel bisogno, è sempre lì e agisce sempre per noi, ma ci sono alcuni momenti privilegiati in cui si riconosce l’importanza, l’impatto del legame su di noi.

Così questa azione divina, la nostra connessione e interazione continua con lui, appare in tutto il suo splendore in Gesù Cristo che ci rivela il padre, il suo modo di agire nei nostri confronti, la sua misericordia e il suo affetto. «Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Giovanni 5, 30), è venuto per rassicurarci della volontà divina di salvarci. È Yehoshua, che in ebraico significa Dio salva, è la salvezza, la mano tesa a Pietro mentre sta annegando (Matteo 14, 27), mostra la sua gloria sul monte Tabor (Luca 9, 29) e dona la sua pace agli apostoli il giorno della sua risurrezione (Giovanni 20, 19).

La volontà divina di salvare l’umanità quando si smarrisce, come il pastore che va alla ricerca della pecora smarrita, si è manifestata. Ma Dio è impotente di fronte all’uomo che chiude il suo cuore, che gli preclude ogni via d’accesso. L’intervento divino che suscita la nostra fede è ciò che ci dà accesso alla speranza del perdono, cioè al dono dell’amore paterno, dello spirito che ci rende figli e ci fa gridare: «Abba, padre» (Romani 8, 15). Egli suscita in noi la fede, cioè la fiducia nella relazione filiale, dandoci la prova del suo attaccamento, ci rassicura e ci conferma del dono incondizionato del suo amore. «Tutto ciò che chiedete nella preghiera, credete di averlo già ricevuto e vi sarà dato» (Marco 11, 24), cioè lo Spirito Santo vi è già stato dato, lo spirito di adozione filiale, ci dice Gesù nel suo Vangelo.

Ma la relazione è viva quando c’è interazione tra due, quando c’è anche un passo dell’uomo verso l’amicizia di Dio, il dono della sua vita, questo dono ripetuto e ri-offerto all’uomo all’infinito, il suo per-dono. Questo cammino si traccia a partire dal momento presente, può iniziare in qualsiasi luogo, sempre: «Io sono la via, la verità, la vita», dice Gesù. Questo cammino dell’uomo verso Dio si compie anche quando il malfattore crocifisso accanto a Gesù si rivolge a lui: gli appare l’innocenza di Gesù, riconosce l’amore del Padre, l’amore che ha messo nei suoi figli. (vedi Luca 23, 32-43 Il malfattore perdonato sulla croce) Forse vede questo amore per la prima volta, forse con lo stesso stupore di un genitore che riconosce la propria somiglianza, i propri tratti o atteggiamenti nel proprio figlio. Il malfattore crocifisso riconosce l’amore che Dio ha riversato nei suoi figli, forse lo vede per la prima volta, si rende conto che questo amore esiste davvero, è vero. Intuisce lo sguardo benevolo di Gesù verso i suoi persecutori, vede con quale amore ci ama e trova la speranza di poter essere accolto anche lui in questo amore: «Gesù, ricordati di me quando arriverai nel tuo regno» (Luca 23, 42) dice a Gesù. Intuisce la fonte della vita, della felicità interiore che sgorga dal Cristo crocifisso, albero e fonte di vita del paradiso terrestre svelato, riaperto all’umanità. Cristo significa «unto», penetrato e riempito dall’amore infinito di Dio: risponde al malfattore, gli ridà fiducia, gli trasmette attivamente la fede, lo rassicura e lo conforta, gli trasmette lo spirito consolatore e difensore presso il Padre con i propri gesti, con le proprie azioni, con la propria presenza. Questo spirito parla al padre, gli ricorda che questo malfattore è suo figlio, è lo spirito dell’amore, paterno e materno, è lo spirito del legame filiale che ci unisce a Dio in uno scambio che supera la nostra comprensione. È il legame misterioso che unisce i genitori ai loro figli, misterioso perché troppo grande per essere pienamente compreso, per essere compreso appieno: il legame che ci unisce tutti gli uni agli altri, il legame indissolubile che unisce ciascuno a Dio.

«In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso» (Luca 23, 43). Gesù ridà speranza e l’uomo, che si è rivolto a Dio in un gesto estremo di ricerca di salvezza, percorrerà la sua strada. Come quando, in estrema angoscia, si invoca il padre o la madre in aiuto, anche se non sono fisicamente presenti. Così, Dio risponde all’appello umano e in Lui, nel suo amore, si trova anche l’amore dei nostri genitori terreni, Egli ridà fiducia e amore. Chi non vuole essere salvato, Dio non vuole salvarlo perché non può violare la libertà e il libero arbitrio dell’uomo. Dio desidera ardentemente il suo ritorno, sollecita il suo amore, ma non può imporsi, forzare. Sappiamo che ciò che Dio vuole è: «E Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu» (Genesi 1, 3). Dio non può volere ciò che toglierebbe la libertà ai suoi figli, darà fiducia fino alla fine dei suoi figli, non fallirà. In questo senso, bisogna capire che se Dio volesse salvare l’uomo nonostante la sua volontà, allora l’uomo privato della sua identità, ridotto a un burattino, sarebbe immediatamente salvato. Ma questo non è il piano di Dio. Il piano di Dio ha dato la libertà all’uomo, gli ha dato la sua immagine, il suo spirito, uno spirito di libertà e amore. «Ama e fa’ ciò che vuoi», diceva sant’Agostino. Questa libertà ci rende a immagine di Dio, è inviolabile. Dio vuole salvare tutti i suoi figli, ma non c’è salvezza se non nella riconquista della nostra libertà: andate e liberate, sciogliete gli uomini dai loro legami, legami in cui essi stessi si sono imprigionati. Si tratta di riconquistare la libertà dei figli di Dio e Dio non può volere ciò che li farebbe decadere da questo rango, non può volere ciò che è contrario alla nostra volontà, non può riprendere il dono supremo che ci rende a sua immagine. Comprendiamo in questo senso anche le espressioni che si trovano in altri testi religiosi come il Corano, per esempio. Nulla sfugge alla volontà divina, al suo piano di salvezza per tutti gli uomini. Questa salvezza include la libertà dell’uomo, il piano divino è che possiamo essere salvati e sta a noi accogliere questo dono, nella sua piena gratuità. Accogliere una tale salvezza, Yehoshua, che significa Dio salva. Una salvezza che parla all’essere umano in tutte le lingue, il cui spirito è diffuso su tutti gli uomini di ogni lingua, popolo, nazione. Lo Spirito Santo vivifica ogni creatura, è il legame che unisce ogni creatura alla fonte della vita.

La libertà, inoltre, è anche la condizione essenziale dell’amore. Si può solo scegliere liberamente di amare, se fossimo costretti non potremmo conoscere il vero amore. Proprio come Dio sceglie liberamente di amare, di darci la sua vita, allo stesso modo noi, che siamo chiamati a sperimentare il più grande amore, la più grande gioia, non potremmo che scegliere liberamente di amare, di dare a nostra volta la vita. È vero che la libertà di amare ha come conseguenza che l’essere umano può anche scegliere il male: violenza, odio, guerre. Ma senza la libertà non conosceremmo mai l’amore. Dio ha fiducia nell’essere umano: saprà trovare, riconoscere dove si trova la vera felicità, poiché lui, Dio, ci ha amati per primo. Non ci abbandonerà mai, ogni giorno ci mostrerà la strada verso l’amore più grande.

È anche importante poter comprendere in che senso nei testi di diverse religioni si affermi che nulla può essere fatto o esistere al di fuori della volontà divina. Nella lettera di Paolo ai Romani 11, 36, si dice: «Tutto proviene da lui, è per mezzo di lui, è per lui». » Come potrebbe la volontà divina non volere la salvezza di tutti gli uomini? Come potrebbe non volere il dono che rende ogni uomo a immagine di Dio, nella sua capacità di amare come Dio? Come potrebbe non volere questo dono, che deve poter essere accolto come tale e non sottratto alla volontà divina, come racconta il libro della Genesi 3, 1-24 La colpa. Dio non potrebbe volere ciò che è contro il nostro bene e questo bene ci supera, ci è offerto sempre irrevocabilmente. «Ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio (Luca 18, 27): così l’inconoscibile si fa conoscere. Di per sé è inconoscibile, ma la sua conoscenza ci è offerta, l’esperienza della sua felicità ci è condivisa, il suo spirito abita in noi, il dono è stato fatto, spetta all’essere umano accoglierlo in tutta la sua grandezza, per portare frutto, ciascuno secondo la propria misura, «cento, sessanta, trenta» (Marco 4, 20). La portata del dono di Dio ci viene manifestata da Gesù alla vigilia del suo sacrificio: «Questo è il mio sangue, quello dell’alleanza, versato per molti» (Marco 14, 24).

Testi biblici

Luca 7, 36-50 La donna perdonata

Luca 15, 11-32 Il figliol prodigo

Luca 23, 32-43 Il malfattore perdonato sulla croce

Questo articolo è un approfondimento di La relazione filiale ed è collegato ad altri approfondimenti che sono:

La gratuità dell’amore

Noi siamo figli di Dio, non suoi servi

Shabbat, il riposo di Dio