La parola Apocalisse deriva dal verbo greco apokaluptō, che significa togliere ciò che copre qualcosa, quindi scoprire o, in senso figurato, svelare, anche nel senso che qualcosa che è nascosto viene scoperto. Lo troviamo esplicitamente in questo senso nelle parole di Gesù, che disse: “Tutto ciò che è stato nascosto sarà scoperto, tutto ciò che è segreto sarà conosciuto; quello che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce”. (Matteo 10, 26-27). In effetti, c’è qualcosa che non appare alla luce del sole, qualcosa che si trova nel cuore umano, la vita dello spirito. Il Salmo 54,22, ad esempio, ci dice: “Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono pugnali sguainati.”. La cosa più importante nella nostra vita è lo spirito, che è anche il nostro soffio vitale. Non è importante solo ciò che facciamo, le nostre azioni, ma anche con quale spirito le facciamo, perché: con spirito di amore o di rivalità, di generosità o di interesse personale?
È difficile per noi comprendere la realtà dello spirito. Lo spirito, che è immateriale, trascende e supera i limiti corporei dello spazio e del tempo; non può essere confinato in un luogo, né può perire e corrompersi nel tempo. Gesù ci ricorda: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima”. (Matteo 10:28). Dio è spirito, immortale ed eterno, e ci ha creati a sua immagine e somiglianza, mettendo dentro di noi il suo soffio vitale, il suo spirito che ci dà vita e anima il nostro corpo. Dio ha creato anche gli angeli, creature puramente spirituali.
Tutta la Bibbia cerca di raccontarci e di aiutarci a comprendere la realtà del Regno dei cieli, dove tutte le creature vivono la loro complementarietà come fonte di gioia e di ammirazione per l’opera di Dio in ciascuna di esse. È nel Regno dei cieli che la realtà spirituale che si manifesta in tutto il suo splendore, la sua gloria e la sua bellezza, è là possiamo contemplare in ogni persona un riflesso della bellezza e della bontà di Dio, diffusa nelle sue creature. (vedi Matteo 13 Le parabole del Regno)
Ma questa bellezza e armonia del Regno dei cieli è apparentemente compromessa dalla ribellione di alcune delle sue creature: la gelosia e l’astuzia si sono insinuate nelle loro menti e la fiducia nella bontà dell’opera di Dio è venuta meno. Così gli angeli, seguendo le orme di Satana, sono diventati demoni e hanno tentato e teso trappole alle creature umane, inducendole all’errore. Gli esseri umani hanno perso la fiducia nell’infinita bontà e generosità di Dio e hanno dubitato della sua benevolenza. I loro corpi, creati per essere l’espressione perfetta del loro spirito, sono diventati un ostacolo nella misura in cui gli esseri umani hanno perso di vista l’origine della loro vita, il loro spirito vitale ricevuto da Dio in modo completamente gratuito, per amore. I loro occhi si sono aperti sulla realtà terrena e hanno perso il contatto con la realtà spirituale divina che dà loro la vita e crea in loro la somiglianza con Dio.
Tuttavia, Dio non toglie all’uomo il suo dono: è ancora lo spirito, il soffio di Dio, che anima ogni sua creatura. Lo spirito di Dio è amore, c’è solo amore in Dio, e noi siamo creati per sperimentare la pienezza della gioia, la fonte della vita a cui possiamo attingere liberamente e infinitamente nell’amore che ci unisce gli uni agli altri e a Dio. Lo spirito è diventato come uno schiavo del corpo, alla ricerca di realtà terrene che sono deperibili e impotenti ad offrirgli la vera felicità che si trova nelle realtà spirituali, nell’amore, nell’amicizia, nella gentilezza e nel dono di sé. Eppure tutto questo, questa gioia, non è lontano da noi; non è affatto inaccessibile, ma alla nostra portata. Quando il nostro spirito sceglie di amare, può sacrificare tutto per questo bene supremo, anche la propria vita. Questa è la vittoria dello spirito sulla morte, sulla fragilità dei nostri corpi e sulle loro esigenze transitorie.
Può allora sembrarci impossibile raggiungere questa vittoria, un’opera sovrumana. È vero, poiché questo avviene ad opera di Dio, è lui che ci ha resi vittoriosi del male e della morte, a noi basta ritrovare la fiducia nella benevolenza di Dio, nella gratuità del suo dono, basta afferrare la mano che ci tende come a figli amati. Egli ci ha già dato tutto, ci ha offerto tutto; sta a noi accoglierlo.
È lo Spirito di Dio che ci guiderà a liberarci dalla morsa della carne. Cioè, il nostro corpo è stato assoggettato ai desideri della carne, ma è stato creato per essere la dimora dello spirito, e lo Spirito di Dio lo trasformerà in un corpo spirituale, cioè in un corpo che obbedisce ed è la perfetta espressione dello spirito celeste che lo anima. Fu così che ad alcuni apostoli e profeti fu dato di contemplare questa realtà divina, celeste, in cui lo spirito ha vinto le opere della carne, realtà nella quale tutto è sottomesso, accoglie ed esprime l’infinita bontà di Dio.
L’apostolo Giovanni riceve una visione in cui si rivela la vittoria dello Spirito di Dio in ogni persona e scriverà ciò che ha visto nel libro dell’Apocalisse, il libro dello svelamento della realtà spirituale ed eterna. Ciò che non ci appare nella nostra realtà quotidiana diventa quindi visibile a Giovanni, ma lo spirito non è limitato dallo spazio e dal tempo, quindi la visione della realtà spirituale, celeste, abbraccia tutto il tempo. Così la Parola di Dio si fa carne, assume un corpo e si rende visibile nella persona di Gesù Cristo. Ma la difficoltà sussiste per l’umanità: come sapere, come vedere se il suo amore è autentico, gratuito e disinteressato, come i profeti l’hanno annunciato? Saranno i fatti, le opere a provarlo, a manifestarlo. La sua vita è offerta, donata, per amore, affinché gli uomini credano. Quale immagine, dunque, può rivelarci questo spirito d’amore che è nascosto alla vista umana, come può rendersi visibile? È l’immagine dell’agnello immacolato sgozzato che esprimerà questo amore: l’innocente che ha offerto la sua vita per amore dell’umanità. Questo amore eterno di Dio per l’umanità si presenta a Giovanni attraverso l’immagine dell’agnello sgozzato. Tutto ciò che Giovanni contempla non è immediatamente comprensibile, ma il significato di alcune immagini gli viene rivelato: le sette torce ardenti sono i sette spiriti (Ap 4, 5), le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese (Ap 1, 20), i sette candelabri sono le sette chiese (Ap 1, 20), i sette occhi dell’agnello sono i sette spiriti di Dio inviati sulla terra (Ap 5, 6), le coppe d’oro piene di profumo sono le preghiere dei santi (Ap 5, 8). Non è Giovanni che inventa un linguaggio simbolico, sono immagini che vede, che contempla e di cui gli viene rivelato il significato, la realtà che rappresentano, che esprimono.
Ora, dobbiamo sapere che Dio non è soggetto al cambiamento; il suo amore per ciascuna delle sue creature è sempre lo stesso. Quindi queste immagini esprimono tanto l’amore di Dio per ogni singola creatura quanto il suo amore per il mondo nel suo insieme. Queste visioni rappresentano e condensano la realtà spirituale sia di chi viveva nel primo secolo sia di chi vive nel ventunesimo. Ciò riguarda la vita di un singolo individuo in un’epoca particolare, ma anche la storia del mondo nel suo insieme. Allo stesso modo, il male, rappresentato dall’immagine del drago che cerca di divorare il bambino, racconta allo stesso tempo la storia di Cristo, la storia della Chiesa nel suo insieme attraverso i secoli e anche la storia di ogni essere umano che affronta prove e viene salvato da Dio.
Ecco allora la difficoltà maggiore nella comprensione del libro dell’Apocalisse: ciò che viene rivelato attraverso le visioni, ciò che viene reso visibile a Giovanni, è la vittoria della luce sulle tenebre, la vittoria di Cristo sul male, la vittoria di Dio a cui nessuna forza può opporsi, di fronte al quale non c’è nessuna forza. C’è solo ciò che Dio ha offerto alle sue creature: il dono della libertà di scegliere, scegliere di amare o di chiudere il proprio cuore, di aprire il proprio cuore all’altro e gustare la gioia dell’amicizia e dell’amore, o di chiudere il proprio cuore all’altro, di non accogliere il dono. Ciò che Giovanni contempla è la vittoria sul male e sulla morte che viene offerta a ogni creatura, in ogni momento della storia e per tutta l’eternità. È una realtà unica che ogni essere umano vive nella sua relazione con la vita, con il dono di Dio, con l’altro. Sarà in grado di accettare ciò che gli viene offerto? È anche la storia dell’umanità intera, nel suo insieme, nella quale Giovanni contempla il valore della preghiera, cioè della relazione fiduciosa con Dio dell’insieme dell’umanità e in cui gli viene mostrato come la preghiera di ogni individuo sarà stata uno strumento di vittoria sul male e sulla morte. Una vittoria definitiva, eterna.
La visione di Giovanni rivela a ogni creatura che la sua vittoria sul male, su ogni prova e sulla morte, gli è già stata data, gli è già stata offerta. Si tratta di accoglierla con fiducia, con la fede che permetterà a ciascuno di noi di superare le prove e di essere vittoriosi sulla morte. Dio tende la mano ai suoi figli, li nutre, li rafforza, li aiuta a superare le prove e li salva dalla morte, li rende vittoriosi sul male, anche dopo le tante volte in cui hanno perso la fiducia, hanno ceduto alla tentazione, lui sarà sempre lì, un aiuto sempre offerto, una roccia su cui appoggiarsi, il loro difensore.
Questa visione ci rivela la realtà della nostra vita spirituale, ci mostra dove dirigere il nostro cuore, dove riporre la nostra fiducia, non nella nostra fragilità, ma nell’infinita misericordia di Dio, nel suo infinito dono, nel suo inesauribile perdono.
Lo svelamento della vita dello spirito è anche lo svelamento della realtà di Dio che è spirito. Dio, quindi, trascende la nostra percezione del tempo; abbraccia nella sua conoscenza tutto il tempo e non è lui stesso soggetto al corso del tempo, ma è il tempo che viene creato, come sono creati il cielo e la terra, da Colui che è fuori dal tempo. Ora, la difficoltà dell’Apocalisse è quella di presentarci l’opera e la realtà divina che abbraccia tutti i tempi. Così, ad esempio, la sconfitta del drago che cerca di divorare il bambino rappresenta allo stesso tempo il male che era all’opera contro Gesù, ma anche il male che continua, in ogni epoca, ad attaccare la presenza di Dio in ognuno di noi. All’inizio dell’Apocalisse, al versetto 1,8, il Signore stesso dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, colui che è, che era e che viene, colui che può tutto”. È come un dispiegamento del nome di Dio: le quattro lettere che nessuno può pronunciare perché condensano in un’unica parola, e quindi nello stesso tempo, tutti i tempi del verbo essere sono qui espressi, come srotolati nel tempo, il nome di Dio è svelato, rivelato: egli è, egli era, egli viene. Infatti Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. Cioè “Io sono”, e questo significa la sua presenza in ogni nostro epoca. Anche Gesù ha detto nel Vangelo di Giovanni 8,28: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che io sono”. Ora, nel tetragramma, la parola ebraica di quattro lettere, יהוה ihwh, che Dio rivela a Mosè, sono contenute le lettere presenti nel verbo היה haya, essere, nei suoi diversi modi. (Per le spiegazioni dettagliate su questo soggetto, consultare l’articolo Il nome di Dio). Allo stesso tempo, Gesù il Cristo, che afferma “Io sono” e che ci rivela così di essere il Dio che si è rivelato ad Abramo, l’unico e solo Dio, ci dice anche che viene. Infatti, il Dio che è, che era, che sarà e che ci fa essere, il Dio che è, che è presente in tutti i nostri tempi e che è eterno, è anche colui che viene, che viene per salvarci. Per salvarci è entrato nel tempo, nel corso della storia; si è fatto carne in Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo è risorto, regna per sempre, è entrato nell’eternità del Padre con la sua carne risorta. E poiché regna con il Padre, viene in aiuto anche a noi in ogni momento, a ogni creatura. È anche colui che viene, che ha stretto una nuova alleanza con l’umanità nella sua carne, offrendo la propria vita e versando il proprio sangue. Questa alleanza tra Dio e l’umanità è stata rinnovata perché l’umanità l’aveva infranta. Ma Gesù ci dice anche che questa alleanza è eterna, perché lui stesso è la Parola di Dio eterna e immutabile, che offre la sua vita al mondo, che ci rende partecipi del suo amore e che continua a venire in aiuto a ciascuno di noi. Per questo, alla fine dell’Apocalisse, l’apostolo San Giovanni ci invita a rivolgerci a Gesù, animati da uno Spirito filiale, di fiducia, invita ciascuno di noi a invocare il suo soccorso e ci dice:
“Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni! Chi ascolta, dica: “Vieni! Chi ha sete, venga. Chi desidera, riceva l’acqua della vita, gratuitamente”. (Apocalisse 22, 17)
Colui che ci dona quest’acqua è Gesù stesso, albero e fonte di vita; dal suo costato è sgorgata acqua e sangue, perché si è offerto per noi, ha dato la sua vita per la salvezza dell’umanità. E San Giovanni si affretta a rivolgersi direttamente a lui, perché venga a salvarlo, perché esprimendo questo desiderio, riflesso della sua fiducia filiale, egli stesso entri a far parte della Chiesa, dell’assemblea di coloro che sono chiamati da Dio a partecipare al suo banchetto nuziale, gli invitati al pranzo, coloro che saranno uniti allo Sposo. È quindi San Giovanni stesso che si esprime nell’ultimo versetto dell’Apocalisse, ci dà l’esempio e ci rivela lo Spirito che ci unisce a Dio in un gesto di totale fiducia filiale nella gratuità del suo amore:
“E colui che dà questa testimonianza dichiara: “Sì, vengo senza tardare”. – Amen! Vieni, Signore Gesù! Che la grazia del Signore Gesù sia con tutti voi” (Apocalisse 22, 20-21).
È invitato, va senza tardare verso il Cristo, perché lo vede venirgli incontro, è il testimone della sua venuta per tutti noi e ci invita ad accogliere la sua grazia.
Citazione dal libro: L’Apocalypse expliquée par Césaire d’Arles, Les Pères dans la foi, DDB, 1989, Paris, Scholie 25 attribuée à Origène, p.186-186:
“Poi ebbi una visione. Ecco, una porta si apriva nel cielo e la voce che avevo udito parlarmi come una tromba diceva: ‘Vieni quassù e ti mostrerò ciò che accadrà in seguito'”. (Apocalisse 4, 1). Dobbiamo leggere le Scritture ispirate dallo Spirito di Dio con sufficiente saggezza per non esporci alle beffe dei saggi del mondo. Quando sentono dire che è stata aperta una porta in cielo, pensano che stiamo dicendo qualcosa di impossibile. Noi rispondiamo che questi testi non sono scritti in senso ovvio, ma che hanno un significato nascosto. L’essenza delle cose spirituali è spesso designata nella Scrittura con il nome di cielo: così, quando si dice che una porta è stata aperta in cielo, intendiamo “la chiara distinzione delle cose spirituali”, soprattutto quando si dice che un santo è effettivamente salito lassù: te ne convincerai per il fatto che non è scritto che Giovanni sia stato portato in alto come Elia da qualche forza esterna a lui (cfr. 2 Re 2), ma ha ricevuto l’ordine di salire spontaneamente dove si trovava colui che lo aveva chiamato, in cielo. Giovanni dichiara che colui che lo esortava con voce forte, come il suono di una tromba, gli ha rivolto le parole citate. Si riferisce quindi alla potente voce del pensiero che è stata chiaramente ispirata in lui.
Testi biblici
In grassetto nel testo originale ebraico o greco sono riportate parole che esprimono la necessità di paragoni, allegorie, immagini, parabole e similitudini per parlare della realtà spirituale e divina.
Numeri 12:6-8:
וַיֹּ֖אמֶר שִׁמְעוּ-נָ֣א דְבָרָ֑י אִם-יִֽהְיֶה֙ נְבִ֣יאֲכֶ֔ם יְהוָ֗ה בַּמַּרְאָה֙ אֵלָ֣יו אֶתְוַדָּ֔ע בַּחֲלֹ֖ום אֲדַבֶּר-בֹּֽו׃ לֹא-כֵ֖ן עַבְדִּ֣י מֹשֶׁ֑ה בְּכָל-בֵּיתִ֖י נֶאֱמָ֥ן הֽוּא׃ פֶּ֣ה אֶל-פֶּ֞ה אֲדַבֶּר-בֹּ֗ו וּמַרְאֶה֙ וְלֹ֣א בְחִידֹ֔ת וּתְמֻנַ֥ת יְהוָ֖ה יַבִּ֑יט וּמַדּ֙וּעַ֙ לֹ֣א יְרֵאתֶ֔ם לְדַבֵּ֖ר בְּעַבְדִּ֥י בְמֹשֶֽׁה׃
“Ascoltate attentamente le mie parole: quando c’è un profeta del Signore in mezzo a voi, io mi faccio conoscere a lui in una visione, gli parlo in sogno. Ma non è così per il mio servo Mosè, che è fidato in tutta la mia casa: gli parlo bocca a bocca, in una visione chiara e non in enigmi e ciò che vede è la rappresentazione (immagine) del Signore. Perché hai osato criticare il mio servo Mosè?”
Qui si parla del privilegio concesso a Mosè di parlare con Dio direttamente e non attraverso ḥidot, enigmi che potrebbero lasciarci perplessi, immagini che richiedono interpretazione, spiegazione. D’altra parte, per quanto riguarda la visione di Dio, la contemplazione di Dio, questa avviene attraverso una rappresentazione temunah. La realtà divina che è al di là delle nostre capacità si rivela tuttavia a Mosè attraverso una rappresentazione, un’immagine, che corrisponde alla realtà spirituale divina, che diventa così accessibile alla nostra percezione.
Ezechiele 17:2:
בֶּן-אָדָ֕ם ח֥וּד חִידָ֖ה וּמְשֹׁ֣ל מָשָׁ֑ל אֶל-בֵּ֖ית יִשְׂרָאֵֽל׃
Figlio dell’uomo, proponi un enigma, racconta una parabola alla casa d’Israele.
Qui Dio parla al profeta e gli dice di rivolgersi al popolo con un esempio, un paragone, una parabola. Per queste usa due termini: ḥidah e mashal. Il primo è stato tradotto come enigma perché suscita perplessità e richiede una spiegazione. Il secondo, mashal, è il termine usuale che indica paragone, allegoria, parabola. Quindi Dio parlerà in parabole, facendo appello alla comprensione di coloro che vogliono capire e fornendo al profeta una spiegazione della storia che ha annunciato al popolo. Coloro che sono disposti ad ascoltare le parole di Dio attraverso il profeta riceveranno anche la comprensione, la spiegazione dal profeta. Coloro che non accettano queste parole, non accettano la loro origine divina e non avranno accesso alla realtà rappresentata dalle immagini del racconto.
Nell’antica traduzione ebraica della Bibbia in greco, la Septuaginta, la prima parola ḥidah è tradotta con diēgēma ed è anche accompagnata dallo stesso verbo che è all’origine del nome: diēgéomai. Letteralmente significa condurre attraverso e dà l’idea di condurre attraverso dei fatti tramite la narrazione, condurre attraverso fatti o eventi tramite le immagini, le storie. Anche in ebraico la stessa radice è usata due volte: ḥud ḥidah. Così Dio chiede al profeta di costruire una narrazione, un racconto di fatti e poi di proporre al popolo una parabola, un mashal in ebraico e una parabolē nella traduzione greca. In altre parole, accostare e mettere in parallelo immagini ed eventi, collegare una storia all’altra. Una rende conto della realtà spirituale e l’altra dei semplici eventi. E la spiegazione che Dio stesso dà al profeta riflette chiaramente la dimensione spirituale degli eventi. Infatti, gli eventi storici raccontano di una sconfitta in battaglia, ma la parabola ci dice che ciò è avvenuto perché il popolo ha tradito un’alleanza, che il suo cuore era doppio e che si è inorgoglito e così colui che si era elevato è stato abbassato.
Si può leggere l’intera parabola e la sua spiegazione nel libro di Ezechiele, capitolo 17.
Marco 4, 30-34:
Καὶ ἔλεγεν Πῶς ὁμοιώσωμεν τὴν βασιλείαν τοῦ Θεοῦ, ἢ ἐν τίνι αὐτὴν παραβολῇ θῶμεν; ὡς κόκκῳ σινάπεως, ὃς ὅταν σπαρῇ ἐπὶ τῆς γῆς, μικρότερον ὂν πάντων τῶν σπερμάτων τῶν ἐπὶ τῆς γῆς, καὶ ὅταν σπαρῇ, ἀναβαίνει καὶ γίνεται μεῖζον πάντων τῶν λαχάνων, καὶ ποιεῖ κλάδους μεγάλους, ὥστε δύνασθαι ὑπὸ τὴν σκιὰν αὐτοῦ τὰ πετεινὰ τοῦ οὐρανοῦ κατασκηνοῖν. Καὶ τοιαύταις παραβολαῖς πολλαῖς ἐλάλει αὐτοῖς τὸν λόγον, καθὼς ἠδύναντο ἀκούειν- χωρὶς δὲ παραβολῆς οὐκ ἐλάλει αὐτοῖς, κατ’ ἰδίαν δὲ τοῖς μαθηταῖς ἐπέλυεν πάντα.
E diceva ancora: “A che cosa dobbiamo paragonare il regno di Dio? Con quale parabola possiamo rappresentarlo? È come un granello di senape: quando viene seminato nel terreno, è il più piccolo di tutti i semi. Ma quando è stato seminato, cresce e supera tutte le piante; e estende lunghi rami, così che gli uccelli del cielo possono fare il loro nido nella sua ombra”. Con molte parabole come queste, Gesù annunciò loro la Parola, nella misura in cui erano in grado di intenderla. Non diceva loro nulla senza parabole, ma spiegava tutto ai suoi discepoli in privato.
Anche qui ci sono due termini che spiegano la necessità di elaborare un paragone, una parabola, per parlarci della realtà spirituale del Regno di Dio. Come render conto della nostra vita spirituale, del nostro atteggiamento interiore, del nostro amore per il prossimo? La nostra partecipazione al Regno di Dio dipende dall’apertura del nostro cuore ad entrare in un atteggiamento filiale e fiducioso verso Dio, e quindi dal nostro atteggiamento verso il prossimo – ogni creatura è nostro fratello o sorella. Ecco la parabola del granello di senape: quando questo piccolissimo seme è cresciuto, diventa un grande albero che può accogliere una moltitudine di uccelli. Quale modo migliore per parlarci del nostro atteggiamento spirituale che, confidando in Dio (la fede è paragonata a un seme), a poco a poco allarga la sua accoglienza alle dimensioni del mondo, della moltitudine di fratelli e sorelle, e diventa capace di accogliere tutti indistintamente, come l’albero accoglie uccelli provenienti da ogni orizzonte. Questo è il Regno di Dio, un regno d’amore che unisce e riunisce una moltitudine di fratelli e sorelle. Una serie di eventi, la traiettoria di un’intera vita umana, è così descritta da una semplice parabola che racconta l’avventura spirituale, l’evoluzione, la trasformazione del nostro spirito alle dimensioni dell’amore di Dio, che invita tutte le sue creature alla comunione.
Vedi anche l’articolo Le parabole del Regno
Matteo 10, 26-28:
μὴ οὖν φοβηθῆτε αὐτούς- οὐδὲν γάρ ἐστιν κεκαλυμμένον ὃ οὐκ ἀποκαλυφθήσεται, καὶ κρυπτὸν ὃ οὐ γνωσθήσεται. ὃ λέγω ὑμῖν ἐν τῇ σκοτίᾳ, εἴπατε ἐν τῷ φωτί- καὶ ὃ εἰς τὸ οὖς ἀκούετε, κηρύξατε ἐπὶ τῶν δωμάτων. καὶ μὴ φοβεῖσθε ἀπὸ τῶν ἀποκτενόντων τὸ σῶμα, τὴν δὲ ψυχὴν μὴ δυναμένων ἀποκτεῖναι- φοβεῖσθε δὲ μᾶλλον τὸν δυνάμενον καὶ ψυχὴν σῶμα ἀπολέσαι ἐν γεένῃ.
Non temete dunque queste persone; nulla è velato che non sarà rivelato, nulla è nascosto che non sarà conosciuto. Ciò che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; ciò che udite all’orecchio, proclamatelo dai tetti. Non temete coloro che uccidono il corpo senza poter uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire nella geenna l’anima e il corpo.
La realtà dello spirito è infatti nascosta. Ciò che conta è lo spirito con cui compiamo le nostre azioni: per il nostro interesse personale o per amore del prossimo? Questa vita dello spirito, l’intenzione, il segreto del cuore, non appare in piena vista, ma appare, si rivela, nelle visioni dei profeti, così come appare nell’Apocalisse il drago o la bestia o il diavolo che svia l’umanità. E la corruzione dell’umanità, preda dei suoi desideri, è rappresentata anche dall’immagine di Babilonia, per esempio.
Matteo 13, 10-17:
Καὶ προσελθόντες οἱ μαθηταὶ εἶπαν αὐτῷ Διὰ τί ἐν παραβολαῖς λαλεῖς αὐτοῖς; ὁ δὲ ἀποκριθεὶς εἶπεν “αὐτοῖς” ὅτι Ὑμῖν δέδοται γνῶναι τὰ μυστήρια τῆς βασιλείας τῶν οὐρανῶν, ἐκείνοις δὲ οὐ δέδοται. ὅστις γὰρ ἔχει, δοθήσεται αὐτῷ καὶ περισσευθήσεται- ὅστις δὲ οὐκ ἔχει, καὶ ὃ ἔχει ἀρθήσεται ἀπ’ αὐτοῦ. διὰ τοῦτο ἐν παραβολαῖς αὐτοῖς λαλῶ, ὅτι βλέποντες οὐ βλέπουσιν καὶ ἀκούοντες οὐκ ἀκούουσιν οὐδὲ συνίουσιν. καὶ ἀναπληροῦται αὐτοῖς ἡ προφητεία Ἠσαΐου* ἡ λέγουσα Ἀκοῇ ἀκούσετε καὶ μὴ συνῆτε, καὶ βλέποντες βλέψετε οὐ ἴδητε. ἐπαχύνθη γὰρ ἡ καρδία τοῦ λαοῦ τούτου, καὶ τοῖς ὠσὶν βαρέως ἤκουσαν, καὶ τοὺς ὀφθαλμοὺς αὐτῶν ἐκάμμυσαν- μή‿ ποτε ἴδωσιν τοῖς ὀφθαλμοῖς καὶ ὠσὶν ἀκούσωσιν καὶ τῇ καρδίᾳ συνῶσιν καὶ ἐπιστρέψωσιν, καὶ ἰάσομαι αὐτούς. ὑμῶν δὲ μακάριοι οἱ ὀφθαλμοὶ ὅτι βλέπουσιν, καὶ τὰ ὦτα ὑμῶν ὅτι ἀκούουσιν. 17 ἀμὴν γὰρ λέγω ὑμῖν ὅτι πολλοὶ προφῆται καὶ δίκαιοι ἐπεθύμησαν ἰδεῖν ἃ βλέπετε καὶ οὐκ εἶδαν, καὶ ἀκοῦσαι ἃ ἀκούετε καὶ οὐκ ἤκουσαν.
E i discepoli si avvicinarono e gli dissero: “Perché parli loro in parabole?” Gesù rispose loro: “Perché a voi è stato dato di conoscere i misteri del regno dei cieli e a loro no. Perché a chi ha, sarà dato e avrà in abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole, perché quando vedono non vedono e quando ascoltano non ascoltano e non capiscono. E per loro si compie la profezia di Isaia: “Udrete con le vostre orecchie e non comprenderete; vedrete con i vostri occhi e non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile; ha indurito le orecchie e chiuso gli occhi, perché non veda con gli occhi, non ascolti con le orecchie, non comprenda con il cuore, non si converta e io lo guarisca. Ma benedetti sono i vostri occhi, perché vedono, e le vostre orecchie, perché ascoltano. In verità vi dico che molti profeti e uomini giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non l’hanno visto, udire ciò che voi udite e non l’hanno udito”.
Le parole del Vangelo potrebbero anche suggerire che Gesù intendesse nascondere la realtà spirituale usando le parabole, piuttosto che renderla accessibile. Infatti, in precedenza, Gesù aveva detto ai discepoli: “A voi è dato il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono fuori tutto è presentato in forma di parabole”. E così, come dice il profeta: “Anche se guarderanno con tutti i loro occhi, non vedranno; anche se ascolteranno con tutti i loro orecchi, ma non capiranno; altrimenti si convertirebbero e sarebbero perdonati.” Ora, è importante capire che Gesù stesso è il regno di Dio; in lui tutte le creature sono accolte nell’amore. Accedere a Gesù, rispondere alla sua chiamata, significa entrare nel Regno, in un rapporto di fiducia con Dio. Gli apostoli hanno lasciato tutto per seguirlo e ogni giorno rinnovano la loro fiducia in lui e si lasciano guidare da lui. Poiché le parabole ci parlano della realtà spirituale, dell’atteggiamento del nostro cuore verso gli altri, non è possibile comprenderle se il nostro cuore è chiuso all’esperienza dell’amore, della fiducia in Dio. L’esperienza dell’amore, ricevuto o donato, ci apre alla comprensione delle parabole e ci aiuta a discernere il nostro comportamento e a dirigerci ogni giorno verso il Regno andando incontro al nostro prossimo. Nella misura in cui il cuore degli ascoltatori è chiuso all’ascolto, all’accoglienza del prossimo, alla fiducia nella Parola di Dio, non saranno in grado di riconoscere la realtà a cui sono chiamati. Non sono pronti a ricevere alcun insegnamento da Gesù o dagli apostoli, cercano solo di intrappolarli, di condannarli, non sono pronti a cercare il collegamento tra la parabola e ciò che accade nel loro cuore, nella loro vita spirituale. Ecco perché i primi cristiani invitavano spesso a praticare la carità, l’amore gratuito, affinché l’esperienza dell’amore aprisse il cuore alla fede e alla comprensione della fede. L’esperienza dell’amore prepara la mente a riconoscere nelle parole del Vangelo, nell’atteggiamento di Gesù, le caratteristiche dell’amore divino, gratuito, disinteressato. La gioia e la pace interiore che scaturiscono dal legame di amicizia e fratellanza che ci unisce al prossimo ci preparano a tentare l’esperienza della fede, della fiducia, dell’abbandono delle nostre vite nelle mani di Dio.
Il Regno di Dio che gli apostoli possono vedere è il lógos di Dio fatto carne, reso visibile nella sua unità e perfezione, in cui lo spirito si esprime attraverso la carne che gli obbedisce.
Giovanni 16, 25-30:
Ταῦτα ἐν παροιμίαις λελάληκα ὑμῖν- ἔρχεται ὥρα ὅτε οὐκέτι ἐν παροιμίαις λαλήσω ὑμῖν, ἀλλὰ παρρησίᾳ περὶ τοῦ Πατρὸς ἀπαγγελῶ ὑμῖν. ἐν ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ τῷ ὀνόματί μου αἰτήσεσθε, καὶ οὐ λέγω ὑμῖν ὅτι ἐγὼ ἐρωτήσω τὸν Πατέρα περὶ ὑμῶν- αὐτὸς γὰρ ὁ Πατὴρ φιλεῖ ὑμᾶς, ὅτι ὑμεῖς ἐμὲ πεφιλήκατε καὶ πεπιστεύκατε ὅτι ἐγὼ παρὰ τοῦ Θεοῦ ἐξῆλθον. ἐξῆλθον ἐκ τοῦ Πατρὸς καὶ ἐλήλυθα εἰς τὸν κόσμον- πάλιν ἀφίημι τὸν κόσμον καὶ πορεύομαι πρὸς τὸν Πατέρα. Λέγουσιν οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ Ἴδε νῦν ἐν παρρησίᾳ λαλεῖς, καὶ παροιμίαν οὐδεμίαν λέγεις. νῦν οἴδαμεν ὅτι οἶδας πάντα καὶ οὐ χρείαν ἔχεις ἵνα τίς σε ἐρωτᾷ- τούτῳ πιστεύομεν ὅτι ἀπὸ Θεοῦ ἐξῆλθες.
Dicendo questo, vi ho parlato per immagini. Viene l’ora in cui vi parlerò senza immagini e vi annuncerò apertamente ciò che riguarda il Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome; ora, non vi dico che pregherò il Padre per voi, perché il Padre stesso vi ama, perché mi avete amato e avete creduto che sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e vado al Padre”. I suoi discepoli gli dissero: “Ecco, tu parli apertamente e non più per immagini. Ora sappiamo che tu conosci ogni cosa e non hai bisogno di essere interrogato: per questo crediamo che sei venuto da Dio”.
Ora l’apostolo Giovanni usa un’altra parola greca al posto della parola parabola. È la parola paroimía, che corrisponde di più alla parola ebraica mashal. Questa parola, che è venuta a significare “proverbio”, evoca innanzitutto il confronto, il parallelismo tra due cose, due realtà. Il proverbio è usato per rivelare un comportamento buono o cattivo senza rivolgersi direttamente al suo autore, lasciandolo libero di accettare la lode o il rimprovero in modo che capisca, ma lasciandolo libero di rispondere, di accogliere o rifiutare la parola che gli viene rivolta. Si tratta anche di dare al colpevole l’opportunità di pentirsi, di riconoscere le conseguenze del suo cattivo comportamento senza condannarlo, ma offrendogli l’opportunità di emendarsi.
1 Corinzi 13:12:
βλέπομεν γὰρ ἄρτι δι’ ἐσόπτρου ἐν αἰνίγματι, τότε δὲ πρόσωπον πρὸς πρόσωπον- ἄρτι γινώσκω ἐκ μέρους, τότε δὲ ἐπιγνώσομαι καθὼς καὶ ἐπεγνώσθην.
Oggi vediamo per mezzo di uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; oggi conosco in parte, ma allora conoscerò come sono stato conosciuto.
Romani 8:5-8:
οἱ γὰρ κατὰ σάρκα ὄντες τὰ τῆς σαρκὸς φρονοῦσιν, οἱ δὲ κατὰ πνεῦμα τὰ τοῦ πνεύματος. τὸ γὰρ φρόνημα τῆς σαρκὸς θάνατος, τὸ δὲ φρόνημα τοῦ πνεύματος ζωὴ καὶ εἰρήνη. διότι τὸ φρόνημα τῆς σαρκὸς ἔχθρα εἰς Θεόν- τῷ γὰρ νόμῳ τοῦ Θεοῦ οὐχ ὑποτάσσεται, οὐδὲ γὰρ δύναται- οἱ δὲ ἐν σαρκὶ ὄντες Θεῷ ἀρέσαι οὐ δύνανται.
Quelli che sono secondo la carne pensano alle cose della carne, ma quelli che sono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Perché i pensieri della carne sono la morte, ma i pensieri dello Spirito sono vita e pace. Ecco perché i pensieri della carne sono ostili a Dio, perché non si sottomettono alla Legge di Dio, anzi non lo possono nemmeno. Quindi quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio.
Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, capitolo 15:
https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/nt/1Cor/15/
Questo capitolo riassume la fede cristiana, la buona notizia del Vangelo: come Gesù Cristo è venuto in nostro soccorso e ci ha reso partecipi della sua risurrezione. La sua risurrezione è una vittoria sul male, e i nostri corpi risorgeranno come corpi spirituali in cui la carne sarà perfettamente informata e obbediente allo spirito, e noi saremo trasformati a immagine di Cristo.
Lettera di San Paolo ai Galati, capitolo 5:
https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/nt/Gal/5/
In questo capitolo, San Paolo ci parla dei frutti che lo Spirito Santo porterà in noi, di come ci porta ad amare il prossimo e di come compie in noi la vittoria sul male attraverso la grazia di Gesù Cristo.