Agostino (Tagaste, attuale Souk Ahras in Algeria, 354 – 430 a Ippona, attuale Annaba in Algeria) studiò a Cartagine dove si appassionò di filosofia e retorica. Nel 382 si recò a Roma e nel 384 divenne professore di retorica a Milano, residenza imperiale. In questa città riceve il battesimo nel 387 dal vescovo Ambrogio. Con lui scopre la riflessione e l’interpretazione cristiana della Bibbia nella tradizione dei Padri Cappadoci e ai commenti di Ambrogio aggiunge ampi sviluppi filosofici, come quelli che ritroviamo nella sua opera “Sulla Genesi alla lettera”.
Per un’introduzione ai commenti alla Genesi 1, 1, vedere la pagina Genesi 1, 1 Bereshit
Per il lessico greco (arkhế, lógos, génesis) vedere: Lessico dei commenti alla Genesi 1, 1
De Genesi Ad Litteram Imperfectus Liber sui quattro modi di spiegare la Scrittura:
Testo latino in Patrologia Latina, J.-P. Migne, Volume 34
2.5. Secundum hanc fidem quae possint in hoc libro quaeri et disputari, considerandum est. In principio fecit Deus coelum et terram. Quatuor modi a quibusdam Scripturarum tractatoribus traduntur Legis exponendae, quorum vocabula enuntiari graece possunt, latine autem definiri et explicari: secundum historiam, secundum allegoriam, secundum analogiam, secundum aetiologiam. Historia est, cum sive divinitus, sive humanitus res gesta commemoratur. Allegoria, cum figurate dicta intelleguntur. Analogia, cum Veteris et Novi Testamentorum congruentia demonstratur. Aetiologia, cum dictorum factorumque causae redduntur.
Secondo questa fede bisogna considerare ciò che in questo libro può essere messo in discussione e discusso. «Nel principio Dio creò il cielo e la terra» (Genesi 1, 1). Alcuni commentatori delle Scritture ci trasmettono quattro modi di spiegare la Legge, i cui termini possono essere enunciati in greco, ma devono essere definiti e spiegati in latino: secondo la storia, secondo l’allegoria, secondo l’analogia, secondo l’eziologia. La storia è quando si commemorano fatti compiuti da ciò che è umano o divino; l’allegoria è quando ciò che viene detto è inteso in senso figurato; l’analogia è quando si mostra la corrispondenza tra l’Antico e il Nuovo Testamento; l’eziologia è quando si ricostruiscono le cause di ciò che viene detto e fatto.
3. 6. Hoc ergo quod scriptum est: In principio fecit Deus coelum et terram, quaeri potest utrum tantummodo secundum historiam accipiendum sit, an etiam figurate aliquid significet, et quomodo congruat Evangelio, et qua causa liber iste sic inchoatus sit.
Quindi, per quanto riguarda ciò che è scritto, «in principio Dio creò il cielo e la terra», ci si può chiedere se debba essere inteso secondo la storia o se abbia anche un significato figurato e in che modo ciò abbia una corrispondenza nel Vangelo e per quale motivo questo libro inizi così.
De Genesi Ad Litteram:
Comprensione della Scrittura alla lettera e in senso figurato
Testo latino in Patrologia Latina, J.-P. Migne, Volume 34
1, 1. 1. Omnis divina Scriptura bipartita est, secundum id quod Dominus significat, dicens, scribam eruditum in regno Dei similem esse patrifamilias proferenti de thesauro suo nova et vetera, quae duo etiam Testamenta dicuntur.
Tutta la divina scrittura è divisa in due, secondo ciò a cui allude il Signore quando dice che il conoscitore della scrittura istruito sul regno di Dio è simile a un padre di famiglia che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie, che sono dette anche dei due testamenti.
La divisione tra Antico e Nuovo Testamento è la premessa necessaria a tutta la spiegazione di Agostino. Infatti, l’antico è figura del nuovo, gli eventi, i fatti reali raccontati nell’Antico Testamento sono per i cristiani una figura, un annuncio di ciò che sarà compiuto nel nuovo da Cristo e dalla sua Chiesa.
In Libris autem omnibus sanctis intueri oportet quae ibi aeterna intimentur, quae facta narrentur, quae futura praenuntientur, quae agenda praecipiantur vel admoneantur. In narratione ergo rerum factarum quaeritur utrum omnia secundum figurarum tantummodo intellectum accipiantur, an etiam secundum fidem rerum gestarum asserenda et defendenda sint. Nam non esse accipienda figuraliter, nullus christianus dicere audebit, attendens Apostolum dicentem: Omnia autem haec in figura contingebant illis: et illud quod in Genesi scriptum est: Et erunt duo in carne una, magnum sacramentum commendantem in Christo et in Ecclesia.
In tutti i libri sacri bisogna guardare: ciò che è narrato dell’eterno, i fatti che sono raccontati, ciò che è annunciato per il futuro, ciò che è prescritto o consigliato di fare. Nella narrazione dei fatti, si cerca se tutto debba essere inteso come figura in modo intellettuale, o se si debbano anche affermare e difendere gli atti (rerum gestarum) secondo la fede. Infatti, nessun cristiano oserà dire che non bisogna riceverli in modo figurato, se presta attenzione all’apostolo che dice: «Tutto questo accadeva loro in figura» [1 Corinzi 10, 11] e [ciò che dice a proposito di] quanto è scritto nella Genesi [2,24]: « “saranno due in una sola carne”, questo è un grande sacramento che rimanda a Cristo e alla Chiesa» (Efesini 5, 32).
Nota: Il concetto di figura nella tradizione evangelica e apostolica è proprio diverso da quello di simbolo o metafora. Secondo le spiegazioni di Gesù stesso, si tratta di compiere ciò che è stato annunciato in precedenza. I fatti che sono accaduti prima sono un’immagine, una figura di ciò che doveva accadere dopo. Questo è il modo profetico di annunciare un evento futuro, raccontando un fatto o addirittura mimandolo. Quando il profeta Geremia fu incaricato da Dio di annunciare il futuro esilio del popolo, Dio gli disse di uscire dalla città come colui che va in esilio, portando con sé solo un piccolo sacco. Questo gesto doveva annunciare il destino futuro del popolo. Allo stesso modo, i fatti raccontati nella Bibbia sono una figura di ciò che Cristo doveva compiere. Ad esempio, l’agnello immolato nel tempio è una figura, un’immagine di Cristo innocente che sarà messo a morte; lo stesso vale per l’uccisione di Abele, il giusto, che sacrificando un agnello annunciava anche l’uccisione di Cristo. In questo senso Gesù afferma: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti: non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento. In verità, in verità vi dico: prima che il cielo e la terra passino, non passerà dalla legge neppure uno iota o un tratto, senza che tutto sia compiuto» (Matteo 5, 17-18).
Il pericolo del senso allegorico, per Agostino, sarebbe quello di creare una figura formata dallo spirito a partire da un testo e non dall’evento narrato nel testo. Egli tiene quindi a ricordare l’importanza di difendere le rerum gestarum, gli eventi che hanno effettivamente avuto luogo e che sono alla base della figura, cioè dell’annuncio che essi costituiranno: è un atto reale che diventa figura di un altro che sarà compiuto in futuro.
Significato di «principium» e «caelum et terra».
1, 1. 2. Si ergo utroque modo illa Scriptura scrutanda est, quomodo dictum est praeter allegoricam significationem: In principio fecit Deus coelum et terram? utrum in principio temporis, an quia primo omnium, an in principio, quod est Verbum Dei unigenitus Filius?
Se dunque questa scrittura deve essere scrutata in entrambi i modi, in che modo è stato detto: «In principio Dio creò il cielo e la terra?» Forse all’inizio del tempo o forse prima di ogni cosa, o forse nel principio che è il Verbum di Dio, il Figlio unigenito?
Qui sant’Agostino riassume le interpretazioni che lo hanno preceduto e in particolare quella che avvicina la parola greca en arkhế, usata nella traduzione dei Settanta del primo versetto della Genesi, alla stessa parola all’inizio del Vangelo di san Giovanni 1,1: «In arkhế era il lógos» (En arkhế ễn ho lógos). La traduzione latina di queste parole era « In principio erat Verbum« . Per la parola latina principium sono validi anche molti dei significati che la tradizione ha attribuito alla parola greca arkhế, il senso di origine, principio, inizio. Vedremo che anche Agostino usa questa parola secondo i suoi diversi significati. Per quanto riguarda la parola greca lógos, si tratta anche di una realtà complessa che esprime allo stesso tempo la parola e la ragione. In latino, in questo passo del Vangelo, questa parola è tradotta con Verbum. Si tratta della parola di Dio, che unisce il significato della parola che esprime il pensiero e il comando di Dio e anche il fatto che ciò che si trova nel Verbum di Dio è l’espressione dell’ordine e della disposizione perfetta in cui tutto ritrova il suo significato e il suo destino originario. Nel Verbum di Dio risiede il modello a immagine del quale è stata creata la creazione. Questo Verbum, la parola divina che crea tutte le cose, non è quindi qualcosa di creato, che si aggiunge a Dio, ma è coeterno a Dio, è generato eternamente da Lui. Secondo la definizione dei Concili, è unigenito, l’unico generato, non creato. Egli è prima di ogni cosa, è il principio attraverso il quale tutto è stato fatto, è l’origine e il fine di ogni cosa, l’alfa e l’omega.
Et quomodo possit ostendi Deum sine ulla sui commutatione operati mutabilia et temporalia? Et quid significetur nomine coeli et terrae? utrum spiritalis corporalisque creatura coeli et terrae vocabulum acceperit, an tantummodo corporalis, ut in hoc libro de spiritali tacuisse intellegatur, atque ita dixisse coelum et terram, ut omnem creaturam corpoream superiorem atque inferiorem significare voluerit? an utriusque informis materia dicta est coelum et terra: spiritalis videlicet vita, sicuti esse potest in se, non conversa ad Creatorem; tali enim conversione formatur atque perficitur; si autem non convertatur, informis est: corporalis autem si possit intellegi per privationem omnis corporeae qualitatis, quae apparet in materia formata, cum iam sunt species corporum, sive visu, sive alio quolibet sensu corporis perceptibiles?
E in che modo si può dimostrare che Dio opera nelle cose mutevoli e temporali senza subire egli stesso alcun cambiamento? E cosa si intende con le parole cielo e terra? O si designa così la creatura spirituale e corporea, o solo quella corporea. In questo modo si capirebbe che in questo libro si è taciuto riguardo allla [creatura] spirituale e che si è parlato di cielo e terra in modo da indicare tutte le creature corporee superiori e inferiori; oppure è la materia informe di entrambi che è chiamata cielo e terra? Ciò significherebbe che, da un lato, la vita spirituale [informe] è quella che può essere di per sé non convertita [nel senso di diretta verso] il creatore – con tale conversione, infatti, [la vita spirituale] è formata e perfezionata, , tuttavia, se essa [la vita spirituale] non si dirige [non convertatur] [verso il creatore], è informe – dall’altro lato, la vita corporea [informe], invece, da parte sua, può essere compresa attraverso la privazione di tutte le qualità corporee che appaiono nella materia formata, quando già [vi si trovano] le specie dei corpi percepibili dalla vista o da qualsiasi altro senso del corpo?
Significato di «caelum et terra».
1, 1. 3. An coelum intellegendum est creatura spiritalis, ab exordio quo facta est, perfecta illa et beata semper: terra vero, corporalis materies adhuc imperfecta? quia terra, inquit, erat invisibilis et incomposita, et tenebrae erant super abyssum; quibus verbis videtur informitatem significare substantiae corporalis? An utriusque informitas his etiam posterioribus verbis significatur? corporalis quidem eo quod dictum est: Terra erat invisibilis et incomposita: spiritalis autem eo quod dictum est: Tenebrae erant super abyssum; ut translato verbo tenebrosam abyssum intellegamus naturam vitae informem, nisi convertatur ad Creatorem: quo solo modo formari potest, ut non sit abyssus; et illuminari, ut non sit tenebrosa? Et quomodo dictum est: Tenebrae erant super abyssum? an quia non erat lux? quae si esset, utique superesset, et tamquam superfunderet: quod tunc fit in creatura spiritali, cum convertitur ad incommutabile atque incorporale lumen, quod Deus est.
Oppure bisogna intendere che il cielo è quella creatura spirituale sempre perfetta e beata fin dal suo inizio, e la terra, in verità, la materia corporea ancora imperfetta? Perché, egli dice, la terra era invisibile e non organizzata, e le tenebre erano sopra l’abisso: con queste parole sembra indicare la sostanza corporea non formata. Oppure con queste ultime parole si indica che entrambe erano senza forma? La corporea perché è detto: «la terra era invisibile e non organizzata» e la spirituale perché è detto: «le tenebre erano sopra l’abisso» in modo da comprendere la natura informe della vita trasferendo la natura tenebrosa dell’abisso a quella della vita che non è ancora orientata (convertatur, convertita) verso il creatore, unico mezzo per essere formata da lui, in modo da non essere più un abisso e da lui illuminata in modo da non essere più tenebrosa. E in che modo si dice: «le tenebre erano sopra l’abisso»? È perché la luce non era ancora? Perché se fosse stata, sarebbe stata sopra di lui e come diffusa: ciò che si realizza nella creatura spirituale quando è orientata (convertitur) verso la luce immutabile e incorporea che è Dio.
Creazione della luce
Ipotesi scartata: non è per mezzo di una creatura che Dio dice: «Sia fatta la luce».
1, 2. 4. Et quomodo dixit Deus: Fiat lux? utrum temporaliter, an in Verbi aeternitate? Et si temporaliter, utique mutabiliter; quomodo ergo possit intellegi hoc dicere Deus, nisi per creaturam; ipse quippe est incommutabilis? Et si per creaturam dixit Deus: Fiat lux; quomodo est prima creatura lux, si erat iam creatura, per quam Deus diceret: Fiat lux? An non est lux prima creatura; quia iam dictum erat: In principio fecit Deus coelum et terram; et poterat per coelestem creaturam vox fieri temporaliter atque mutabiliter, qua diceretur: Fiat lux? Quod si ita est, corporalis lux facta est ista, quam corporeis oculis cernimus, dicente Deo per creaturam spiritalem, quam Deus iam fecerat, cum in principio fecit Deus coelum et terram: Fiat lux; eo modo quo per talis creaturae interiorem et occultum motum divinitus dici potuit: Fiat lux.
In che modo Dio dice: «Sia fatta la luce» (Genesi 1, 3)? Se è nel tempo, è anche nel cambiamento. In che modo, quindi, si può intendere che Dio dica questo se non attraverso una creatura? Egli infatti è immutabile. E se fosse attraverso una creatura che Dio dice: «Sia fatta la luce», in che modo la luce sarebbe la prima creatura, se ce n’era già una attraverso la quale Dio dice: «Sia la luce»? Oppure la luce non sarebbe la prima creatura, poiché era già stato detto: «In principio Dio creò il cielo e la terra»? Avrebbe potuto esserci una voce di una creatura celeste attraverso la quale fosse stato detto nel tempo e nel cambiamento: «Sia fatta la luce»? Se così fosse, la luce corporea, così come la vediamo con i nostri occhi corporei, sarebbe stata creata nel momento in cui Dio [disse]: «Sia fatta la luce», attraverso una creatura spirituale che egli avrebbe già creato quando in principio creò il cielo e la terra. È in questo modo che, attraverso il movimento divino interiore e nascosto di una tale creatura, è stato possibile dire: «Sia fatta la luce».
La voce di Dio quando crea la luce
1, 2. 5. An etiam corporaliter sonuit vox dicentis Dei: Fiat lux; sicut corporaliter sonuit vox dicentis Dei: Tu es Filius meus dilectus: et hoc per creaturam corporalem, quam fecerat Deus, cum in principio fecit coelum et terram, antequam fieret lux, quae in hac sonante voce facta est? Et si ita est, qua lingua sonuit ista vox, dicente Deo: Fiat lux; quia nondum erat linguarum diversitas, quae postea facta est in aedificatione turris post diluvium? Quaenam lingua erat una et sola, qua Deus locutus est: Fiat lux? et quis erat quem oportebat audire, atque intellegere, ad quem vox huiusmodi proferretur? An haec absurda carnalisque cogitatio est atque suspicio?
Oppure la voce di Dio risuonò corporalmente quando disse: «Sia fatta la luce», allo stesso modo in cui la voce di Dio risuonò corporalmente quando disse: «Tu sei il mio figlio prediletto» (Matteo 3, 17)? E questo attraverso una creatura corporea che Dio avrebbe fatto all’inizio quando creò il cielo e la terra, prima di creare la luce che fu fatta da quella voce che risuonò? E se è così, in quale lingua risuonò quella voce con cui Dio dice: «Sia fatta la luce», dal momento che non esisteva ancora la diversità delle lingue, che fu creata in seguito nella costruzione della torre dopo il diluvio? Qual era l’unica e sola lingua con cui Dio pronunciò: «Sia fatta la luce»? E chi era colui al quale questa parola avrebbe dovuto essere rivolta in questo modo e che avrebbe dovuto ascoltarla e comprenderla? Non è forse questo un pensiero e un’ipotesi assurda e carnale?
La voce di Dio quando crea e il Verbum
1, 2. 6. Quid ergo dicemus? An id quod intellegitur in sono vocis, cum dicitur: Fiat lux, non autem ipse corporeus sonus, hoc bene intellegitur esse vox Dei? et utrum hoc ipsum ad naturam pertineat Verbi eius, de quo dicitur: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum? Cum enim de illo dicitur: Omnia per ipsum facta sunt; satis ostenditur et lux per ipsum facta, cum dixit Deus: Fiat lux. Quod si ita est, aeternum est quod dixit Deus: Fiat lux; quia Verbum Dei Deus apud Deum, Filius unicus Dei, Patri coaeternus est: quamvis Deo hoc in aeterno Verbo dicente creatura temporalis facta sit.
Che diremo dunque? Se non che è ciò che è compreso nel suono della voce, quando è detto: «Sia fatta la luce», e non il suono corporeo stesso, non è questo che si intende bene quando si dice che è la voce di Dio? Non è questo che si addice alla natura della sua parola [di Dio], riguardo alla quale si dice: «In principio era il Verbum e il Verbum era presso Dio e Dio era Verbum? Quando infatti si dice di lui: tutto è stato fatto per mezzo di lui, è abbastanza dimostrato che anche la luce è stata fatta da lui [dal Verbum di Dio], quando Dio dice: «Sia fattala luce». Se è così, ciò che Dio dice: «Sia fatta la luce» è eterno, poiché il Verbo di Dio [è] Dio presso Dio, figlio unico di Dio, coeterno al Padre, anche se, dicendo questo in un Verbum eterno, Dio crea una creatura temporale.
Famoso è anche il commento di sant’Agostino su Giovanni Battista, che era la voce che risuonava nel deserto e annunciava il Messia. La voce, il suono scompare dopo l’annuncio, ma la parola che abbiamo udito rimane in noi, quando l’abbiamo compresa e accolta. Giovanni Battista era la voce che risuonava e Cristo era la parola di Dio trasmessa, annunciata da quella voce.
Qui la parola di Dio indica il senso che è portato dalle parole e dal loro suono, non il suono stesso. La voce di Dio è ciò che è compreso (quod intellegitur).
Cum enim verba sint temporis, cum dicimus: Quando, et aliquando; aeternum tamen est in Verbo Dei, quando fieri aliquid debeat: et tunc fit quando fieri debuisse in illo Verbo est, in quo non est quando et aliquando, quoniam totum illud Verbum aeternum est.
Sebbene, infatti, le parole appartengano al tempo, quando diciamo «quando» e «un giorno», tuttavia nel Verbum di Dio, quando qualcosa deve essere fatta e viene fatta in un momento preciso, il momento in cui avrebbe dovuto essere fatta si trova in quel Verbum, nel quale non c’è «quando» o «un giorno», poiché tutto quel Verbum è eterno.
Che cos’è questa luce fatta da Dio?
1, 3. 7. Et quid est lux ipsa quae facta est? utrum spiritale quid, an corporale? Si enim spiritale, potest ipsa esse prima creatura, iam hoc dicto perfecta, quae primo coelum appellata est, cum dictum est: In principio fecit Deus coelum et terram: ut quod dixit Deus: Fiat lux; et facta est lux, eam revocante ad se Creatore, conversio eius facta atque illuminata intellegatur.
E cos’è questa stessa luce che è stata fatta? È spirituale o corporea? Infatti, se è spirituale, potrebbe essere quella stessa prima creatura già resa perfetta da questa parola, che era stata inizialmente chiamata cielo, quando è stato detto: «In principio Dio creò il cielo e la terra», in modo tale che «Dio disse: sia fatta la luce. E la luce fu fatta» sia inteso come la conversione e l’illuminazione che avviene quando il creatore la richiama a sé.
Dio avrebbe creato nel suo Verbum parlando?
1, 3. 8. Et cur ita dictum est: In principio fecit Deus coelum et terram; et non dictum est: In principio dixit Deus: Fiat coelum et terra; et facta sunt coelum et terra: sicut de luce narratur: Dixit Deus: Fiat lux; et facta est lux? Utrum prius universaliter nomine coeli et terrae comprehendendum erat et commendandum quod fecit Deus; et deinde per partes exsequendum, quomodo fecit, cum per singula dicitur: Dixit Deus; id est, quia per Verbum suum fecit, quidquid fecit?
E perché si dice così: «In principio Dio creò il cielo e la terra» e non si dice: «In principio Dio disse: Siano il cielo e la terra. E il cielo e la terra furono fatti», come si racconta della luce: «Dio disse: Sia la luce. E la luce fu»? Bisognava prima comprendere i termini cielo e terra in senso globale ed evidenziare ciò che Dio ha fatto, e poi come ha proseguito la realizzazione di ciascuna parte, dicendo per ciascuna: «Dio disse», e questo perché qualunque cosa abbia fatto, l’ha fatta con la sua parola?
Come è creata la materia informe.
1, 4. 9. An cum primum fiebat informitas materiae sive spiritalis sive corporalis, non erat dicendum: Dixit Deus: Fiat; quia formam Verbi semper Patri cohaerentis, quo sempiterne dicit Deus omnia, neque sono vocis neque cogitatione tempora sonorum volvente, sed coaeterna sibi luce a se genitae Sapientiae, non imitatur imperfectio, cum dissimilis ab eo quod summe ac primitus est, informitate quadam tendit ad nihilum;
Oppure perché quando prima era fatta l’informità della materia spirituale e corporea, non bisognava dire: «Dio disse: sia fatta», poiché l’imperfezione, in quanto con la sua informità tende al nulla, non è a immagine (imitatur) della forma della parola che è sempre presso (cohaerentis) il Padre, attraverso la quale Dio dice tutto eternamente, non con il suono della voce o con una riflessione che evolve nel tempo, ma con la luce di una saggezza coeterna a lui e generata da lui, che è prima e al di sopra di tutto;
Qui Agostino spiega chiaramente che la parola di Dio è eterna, ciò che Dio vuole è eterno, non evolve nel tempo. Il suono che conduce le parole ha bisogno di tempo per essere emesso, allo stesso modo la successione dei pensieri di una riflessione si inscrive nel tempo, ma non la parola di Dio che ha uno statuto particolare: è la seconda persona della Trinità, coeterna al Padre, generata da lui. Agostino riprende qui le affermazioni del Credo di Nicea-Costantinopoli e gli argomenti dei Padri cappadoci che lo hanno preparato: san Basilio nel suo trattato “Contro Eunomio”, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo.
sed tunc imitatur Verbi formam, semper atque incommutabiliter Patri cohaerentem, cum et ipsa pro sui generis conversione ad id quod vere ac semper est, id est ad creatorem suae substantiae, formam capit, et fit perfecta creatura:
ma ora [dopo che Dio ha detto: «Sia fatta», ha preso forma e] imita la forma del Verbum che è sempre presso il Padre senza cambiamento, poiché essa stessa, volgendosi secondo la sua natura verso Colui che è veramente e sempre, cioè verso il creatore della sua sostanza, riceve una forma e diventa una creatura perfetta:
ut in eo quod Scriptura narrat: Dixit Deus: Fiat, intellegamus Dei dictum incorporeum in natura Verbi eius coaeterni revocantis ad se imperfectionem creaturae, ut non sit informis, sed formetur secundum singula quae per ordinem exsequitur? In qua conversione et formatione, quia pro suo modo imitatur Deum Verbum, hoc est Dei Filium semper Patri cohaerentem, plena similitudine et essentia pari, qua ipse et Pater unum sunt; non autem imitatur hanc Verbi formam, si aversa a Creatore, informis et imperfecta remaneat: propterea Filii commemoratio non ita fit quia Verbum, sed tantum quia principium est, cum dicitur: In principio fecit Deus coelum et terram; exordium quippe creaturae insinuatur adhuc in informitate imperfectionis:
Affinché in ciò che dice la Scrittura: «Dio disse: sia fatta», comprendiamo ciò che Dio dice in modo non corporeo nella natura del suo Verbum coeterno, che richiama a sé l’imperfezione della creatura, affinché non sia informe, ma sia formata secondo ciascuna [delle creature] che sono realizzate da questo ordine. In questa conversione e formazione in cui imita a modo suo Dio che è Verbo, che è il Figlio di Dio sempre presso il Padre, pienamente simile e della stessa essenza, per mezzo della quale lui stesso [il Figlio, Verbum] e il Padre sono uno, [la creatura] non imita questa forma della parola, se rimane distolta dal creatore e imperfetta. Per questo non si fa menzione del Figlio come Verbum, ma solo come principio, quando si dice: «In principio Dio creò il cielo e la terra»; è l’inizio nell’informità dell’imperfezione che qui è quindi significato.
fit autem Filii commemoratio, quod etiam Verbum est, eo quod scriptum est: Dixit Deus: Fiat; ut per id quod principium est, insinuet exordium creaturae existentis ab illo adhuc imperfectae; per id autem quod Verbum est, insinuet perfectionem creaturae revocatae ad eum, ut formaretur inhaerendo Creatori, et pro suo genere imitando formam sempiterne atque incommutabiliter inhaerentem Patri, a quo statim hoc est quod ille.
Si fa invece menzione del Figlio, poiché egli è anche Verbum, quando è scritto: «Dio disse: sia fatta», in modo tale che quando è principium si allude all’inizio (exordium, l’uscita dal nulla) della creatura che esiste per mezzo di lui ancora imperfetta, e quando si fa menzione del Figlio, in quanto Verbum, si allude alla perfezione della creatura richiamata a lui, per formare, mediante l’unione con il creatore e l’imitazione, secondo la sua natura, della forma eterna e immutabile unita al Padre, dal quale essa [questa parola eterna] riceve immediatamente di essere ciò che Lui [il Padre] è.
Secondo la dottrina trinitaria, il Figlio di Dio è il Verbum eterno di Dio, che coesiste eternamente con Lui, ne è l’espressione e l’immagine perfetta e in questo Verbum, in Dio, è la forma perfetta di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che questo Verbum chiama all’esistenza.
Vedi: De gen ad litt op. Imprf. 16, 57-61. De vera rel. 36,66. De trinitate 6, 10, 11 ss. Confessioni 12, 28,38. De civitate dei 10,14: «forma intelligibile e immutabile che contiene in sé tutte le perfezioni».
La creatura informe riceve una forma quando si volge verso la luce della saggezza.
1, 5. 10. Non enim habet informem vitam Verbum Filius, cui non solum hoc est esse quod vivere, sed etiam hoc est vivere, quod est sapienter ac beate vivere. Creatura vero, quamquam spiritalis et intellectualis vel rationalis, quae videtur esse illi Verbo propinquior, potest habere informem vitam; quia non sicut hoc est ei esse quod vivere, ita hoc vivere quod sapienter ac beate vivere. Aversa enim a Sapientia incommutabili, stulte ac misere vivit, quae informitas eius est. Formatur autem conversa ad incommutabile lumen Sapientiae, Verbum Dei. A quo enim exstitit ut sit utcumque ac vivat, ad illum convertitur ut sapienter ac beate vivat. Principium quippe creaturae intellectualis est aeterna Sapientia; quod principium manens in se incommutabiliter, nullo modo cessaret occulta inspiratione vocationis loqui ei creaturae cui principium est, ut converteretur ad id ex quo est, quod aliter formata ac perfecta esse non possit. Ideoque interrogatus quis esset, respondit: Principium, quia et loquor vobis.
Infatti, il Verbum, il Figlio [di Dio], non ha una vita informe, poiché per lui non solo essere è la stessa cosa che vivere, ma vivere per lui è la stessa cosa che vivere nella saggezza e nella beatitudine. La creatura, invece, sebbene spirituale e intellettuale o razionale, cosa che sembra essere più vicina a questo Verbum [eterno], può avere una vita informe, poiché, anche se essere è la stessa cosa che vivere, vivere non è la stessa cosa che vivere nella saggezza e nella beatitudine. Infatti, allontanatasi dalla saggezza immutabile, vive in modo sconsiderato e miserabile, ed è questo che significa non avere forma. Al contrario, essa è formata quando si volge (conversa) verso la luce della Sapienza eterna, il Verbum di Dio. Per mezzo di essa [questo Verbum e Sapienza], essa viene all’essere, affinché sia in qualsiasi modo e viva, e quando si orienta (convertitur) verso di essa [verso il Verbum], è per vivere nella saggezza e nella beatitudine. Quindi, il principio della creatura intellettuale è la saggezza eterna: questo principio, pur rimanendo immutabile in se stesso, non cessa in alcun modo, per la segreta ispirazione della sua chiamata, di parlare a questa creatura di cui è il principio, affinché si orienti verso ciò da cui proviene, non potendo essere formata e perfezionata da altri. Per questo, quando gli fu chiesto chi fosse, rispose: «Io sono il principio, per questo vi parlo» (Giovanni 8, 25).
[…]
Libro 5
Dopo il racconto dei sette giorni della creazione, al capitolo 2, 4 viene data una sintesi di quest’opera, prima di iniziare il racconto del Paradiso terrestre. Ecco ancora un commento di Agostino su questi versetti che riassumono la sua lettura di questo giorno della creazione.
Genesi 2, 4:
Hic est liber creaturae coeli et terrae, cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram, et omne viride agri, …
Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni erba dei campi …
Va notato qui che il testo di Genesi 2,4 commentato da Agostino è una variante della traduzione latina, che presuppone un testo originale greco con la parola ᾗ ἡμέρᾳ al nominativo invece che al dativo e la virgola dopo questa parola e non prima:
Gn 2, 4: Αὕτη ἡ βίβλος γενέσεως οὐρανοῦ καὶ γῆς, ὅτε ἐγένετο, ᾗ ἡμέρᾳ ἐποίησεν ὁ θεὸς τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν …
Questo è il libro della genesi del cielo e della terra, quando fu generata, nel giorno in cui Dio creò il cielo e la terra …
Perché è stato aggiunto «il verde dei campi»?
5, 2. 4. Cum autem nomine coeli et terrae, usitato more Scripturarum, nunc universam creaturam voluerit accipi, quaeri potest cur addiderit, et omne viride agri; quod mihi videtur ideo posuisse, ut significantius intimaret quem diem commendaverit, quod ait, cum factus est dies. Cito enim quisquam putaret hunc diem lucis corporeae commendatum, quo circumeunte nobis vicissitudo diurni nocturnique temporis exhibetur. Sed cum creaturarum conditarum ordinem recolimus, et invenimus omne viride agri tertio die creatum, antequam sol fieret, qui quarto die factus est, cuius praesentia dies iste quotidianus usitatusque peragitur; quando audimus: Cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram, et omne viride agri; admonemur de ipso die cogitare, quem sive corporalem nescio qua luce nobis incognita, sive spiritalem in societate unitatis angelicae, non tamen talem qualem hic novimus, intellectu vestigare conemur.
Poiché, tuttavia, con i termini cielo e terra si è voluto intendere, secondo un’usanza abituale delle Scritture, l’insieme delle creature, ci si può chiedere perché sia stato aggiunto: «e tutta l’erba dei campi». A mio avviso, quindi, è stato aggiunto per precisare a quale giorno si riferisce quando dice: «quando fu fatto il giorno». Infatti, qualcuno potrebbe facilmente credere che qui si riferisca al giorno della luce corporea, che ruotando intorno a noi ci mostra l’alternanza del tempo diurno e notturno. Ma quando ricordiamo l’ordine in cui sono state create le creature, troviamo che tutta l’erba dei campi è stata creata il terzo giorno, prima che fosse creato il sole; questo è stato creato il quarto giorno e la sua presenza realizza il nostro giorno quotidiano abituale; quando sentiamo: «Quando il giorno fu fatto, Dio creò il cielo e la terra e tutta l’erba dei campi», siamo invitati a riflettere su questo stesso giorno: se è corporeo, non so con quale luce a noi sconosciuta [sia illuminato]; se è spirituale, è nella società dell’unità angelica, ma non come l’abbiamo conosciuto, cercheremo di indagare con l’intelletto [questo tipo di giorno e di luce].
La creazione dei vegetali prima del sole dimostra che si tratta di un giorno unico che si ripete sette volte.
5, 3. 6. Porro autem superior narratio factum diem primitus indicat, eumque unum diem deputat; post quem secundum annumerat, quo factum est firmamentum; et tertium, quo species terrae marisque digestae sunt, et lignum atque herbam terra produxit. An forte hoc illud est, quod in libro superiore moliebamur ostendere, simul Deum fecisse omnia, quandoquidem narrationis illa contextio, cum sex dierum ordine creata cuncta et consummata memorasset, nunc ad unum diem omnia rediguntur nomine coeli et terrae, adiuncto etiam fruticum genere? Nimirum propter quod supra dixi, ut si fortassis ex hac nostra consuetudine intellegeretur dies, corrigeretur lector, cum recoleret viride agri ante istum solarem diem Deum dixisse ut terra produceret.
Inoltre, la narrazione precedente indica un giorno che è stato fatto all’inizio (primitus) e lo considera «un solo» (unum, uno, unico). Dopo di esso ne elenca un secondo, in cui è stato fatto il firmamento, e un terzo, in cui sono state distinte le specie della terra e del mare e in cui la terra ha prodotto il legno e l’erba. Non è forse ciò che abbiamo cercato di dimostrare nel libro precedente, che Dio ha fatto tutto contemporaneamente, dal momento che il testo di quel racconto aveva ricordato che tutte le cose erano state create e completate nell’ordine dei sei giorni e che ora tutte convergono in un solo (unum) giorno sotto la denominazione di «cielo e terra» e con l’aggiunta dei vegetali? Certamente, secondo quanto ho detto sopra, se il giorno dovesse essere inteso secondo la nostra consuetudine, il lettore si correggerebbe, quando ricordasse che Dio aveva detto che la terra producesse il verde del campi prima di quel giorno solare.
Ita iam non ex alio Scripturae sanctae libro profertur testimonium quod omnia simul Deus creaverit; sed vicina testificatio paginae consequentis ex hac re nos admonet, dicens: Cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram, et omne viride agri: ut istum diem et septies intellegas repetitum, ut fierent septem dies; et cum audis tunc facta omnia, cum factus est dies, illam senariam vel septenariam repetitionem sine intervallis morarum spatiorumque temporalium factam, si possis, apprehendas; si nondum possis, haec relinquas conspicienda valentibus: tu autem cum Scriptura non deserente infirmitatem tuam, et materno incessu tecum tardius ambulante proficias; quae sic loquitur, ut altitudine superbos irrideat, profunditate attentos terreat, veritate magnos pascat, affabilitate parvulos nutriat.
Così, la testimonianza che Dio ha creato tutte le cose simultaneamente non è più fornita da un altro libro della Scrittura (Eccl. 18,1), ma l’attestazione vicina, quella della pagina che segue, ci avverte dicendo: «Quando il giorno fu fatto, Dio fece il cielo e la terra e tutto il verde del campo», in modo che tu comprenda che questo giorno è ripetuto sette volte, per fare sette giorni; e, se puoi, impara che quando fu fatto il giorno, allora tutto fu fatto e che questa ripetizione di sei o sette volte avvenne senza intervalli di tempo e di spazio; se invece non puoi, lascia che queste cose siano osservate da coloro che possono, tu progredisci con la Scrittura che non ti abbandona alla tua infermità e, avanzando con te maternamente con un passo più lento, parla in modo tale che con la sua altezza deride gli orgogliosi, con la sua profondità abbatte coloro che la sondano, con la sua verità sazia i grandi e nutre i piccoli con la sua affabilità.
[…]
Il tempo ha avuto inizio con la creatura.
5, 5. 12. Factae itaque creaturae motibus coeperunt currere tempora: unde ante creaturam frustra tempora requiruntur, quasi possint inveniri ante tempora tempora. Motus enim si nullus esset vel spiritalis vel corporalis creaturae, quo per praesens praeteritis futura succederent, nullum esset tempus omnino. Moveri autem creatura non utique posset, si non esset. Potius ergo tempus a creatura, quam creatura coepit a tempore; utrumque autem ex Deo. Ex ipso enim, et per ipsum, et in ipso sunt omnia.
Così i tempi cominciarono a scorrere con i movimenti della creatura che era stata fatta: quindi, prima della creatura è vano cercare i tempi, come se si potessero trovare tempi prima dei tempi. Se infatti non ci fosse il movimento della creatura, sia essa spirituale o corporea, per mezzo del quale le cose future succedono alle passate attraverso il presente, non ci sarebbe affatto il tempo. E certamente la creatura non potrebbe muoversi se non esistesse. Quindi, è piuttosto il tempo che inizia a partire dalla creatura, piuttosto che la creatura a partire dal tempo, entrambi tuttavia provengono da Dio; infatti da lui, per lui e in lui sono tutte le cose (Romani 11, 36).
Nec sic accipiatur quod dictum est: Tempus a creatura coepit, quasi tempus creatura non sit; cum sit creaturae motus ex alio in aliud, consequentibus rebus secundum ordinationem administrantis Dei cuncta quae creavit. Quapropter cum primam conditionem creaturarum cogitamus, a quibus operibus suis Deus in die septimo requievit; nec illos dies sicut istos solares, nec ipsam operationem ita cogitare debemus, quemadmodum nunc aliquid Deus operatur in tempore: sed quemadmodum operatus est unde inciperent tempora, quemadmodum operatus est omnia simul, praestans eis etiam ordinem, non intervallis temporum, sed connexione causarum, ut ea quae simul facta sunt, senario quoque illius diei numero praesentato perficerentur.
Non si capisca nemmeno, poiché è stato detto che il tempo inizia dalla creatura, che il tempo non è una creatura, poiché è il movimento dall’una all’altra nelle cose che si susseguono secondo l’ordine di Dio che amministra tutto ciò che ha creato. Perciò, quando riflettiamo su questa prima creazione (conditio) delle creature, opere delle quali Dio si riposò il settimo giorno, non dobbiamo pensare a questi giorni come a giorni solari, né all’opera di Dio stessa nello stesso modo in cui egli opera qualcosa ora nel tempo, ma nello stesso modo in cui egli operò là dove i tempi ebbero inizio, quando ha fatto ogni cosa simultaneamente, dando alle cose un ordine, non per intervalli di tempo, ma per connessione di cause, affinché queste cose che sono state fatte simultaneamente fossero condotte alla perfezione avendo reso presente lo stesso giorno sei volte.
L’ordine temporale è diverso dall’ordine causale.
5, 5. 13. Non itaque temporali, sed causali ordine prius facta est informis formabilisque materies, et spiritalis et corporalis, de qua fieret quod faciendum esset, cum et ipsa priusquam instituta est, non fuisset: nec instituta est nisi ab illo utique summo Deo et vero, ex quo sunt omnia.
Non è quindi in un ordine temporale, ma causale che è stata creata la materia informe e formabile, [materia] spirituale e corporea, dalla quale fare ciò che doveva essere fatto, mentre essa stessa, prima di essere preparata (instituta), non esisteva; né è stata è stata così preparata (instituta) se non dal Dio altissimo e vero, dal quale provengono tutte le cose.
Quae sive coeli et terrae nomine significata sit, quae in principio fecit Deus ante unum illum diem quem condidit, propterea iam sic appellata, quia inde facta sunt coelum et terra; sive nomine terrae invisibilis et incompositae atque abyssi tenebrosae, iam in primo libro tractatum est.
Questa [la materia informe] è indicata con il termine «cielo e terra», che Dio creò in principio prima di quel giorno unico, che egli stabilì (condidit), ed è per questo che è chiamata così [cielo e terra], perché da essa furono fatti il cielo e la terra; oppure [la materia è anche indicata con il termine] terra invisibile e non organizzata (incomposita) e abisso tenebroso; di ciò ho già trattato nel primo libro.
Conclusioni delle interpretazioni precedenti.
5, 5. 16. Hic est ergo liber creaturae coeli et terrae, quia in principio fecit Deus coelum et terram, secundum materiae quamdam, ut ita dicam, formabilitatem, quae consequenter verbo eius formanda fuerat, praecedens formationem suam, non tempore, sed origine.
Questo è quindi il libro [che parla] della creazione del cielo e della terra, poiché nel principio (in principio) Dio creò il cielo e la terra secondo una certa materia, in modo tale che potrei dire «formabilità», la quale era poi destinata a prendere forma attraverso il suo Verbum e che ha preceduto questa formazione non nel tempo, ma nell’origine.
Sant’Agostino, con tutte le necessarie precauzioni, riprende qui un tema che è stato oggetto di molte discussioni nei secoli precedenti. Si tratta sempre di parlare di questo principium, di questa prima parola della Bibbia che colloca tutta l’opera della creazione nel piano di Dio. Si tratta di leggere in essa l’ordine in cui Dio ha fatto conoscere il suo piano. Ovviamente non c’è successione di pensieri in Dio, perché Egli non è nel tempo, il tempo è una creatura di Dio. Tuttavia, Dio ha voluto comunicare questo piano ad altri, secondo la modalità delle sue creature inscritte nel tempo. Lo ha presentato quindi prima alle creature spirituali, gli angeli. È il primo giorno, spiegato lungamente nel quarto libro che tratteremo in seguito. La creazione della luce nel primo giorno, quando non esistono ancora gli elementi, indica che Dio comunica se stesso e rende tutto noto agli angeli, che sono illuminati dalla sua luce. Essi conosceranno così la creazione attraverso il creatore, contemplano l’origine della luce e in essa conoscono le creature. Non è guardando il mondo creato che essi conoscono la creatura. Per questo motivo questo principio si colloca in Dio, è la sua saggezza comunicata alle creature attraverso la sua parola: «e Dio disse».
Così Agostino distingue questa «formabilità» che corrisponde alla sua volontà di creare una materia spirituale e corporea che sarebbe attualmente creata dalla sua Parola. Il pericolo qui era quello di parlare di una materia preesistente, coeterna a Dio, che sarebbe stata solo modellata e non creata da un Dio demiurgo, oppure di un’idea eterna che sussistente di per sé e dando forma di per sé a una materia. Agostino evita queste affermazioni e ricorda che Dio ha creato ciò che non può esistere al di fuori di lui, ma tiene comunque a preservare la lettura letterale di questo testo che si colloca al di fuori del tempo, nel piano di Dio così comunicato alle sue creature secondo l’ordine dell’origine. Cioè come ogni causa è ordinata in Dio, voluta da lui e inscritta da lui in una successione temporale propria alla creatura.
Da notare il termine «formabilità» che Agostino conia qui per parlarci di questo piano di Dio, di questa visione che Dio ha di ciò che deve venire e che quindi, in quanto creatura, assumerà una forma. Quindi, riassume Agostino, questo libro ci presenta la creazione del cielo e della terra così come è concepita da Dio, nel suo desiderio di farsi conoscere, nella sua saggezza, «in principio», che poi sarà modellata, formata in conformità, a immagine della sua parola che dà forma a ogni cosa.
Nam utique cum formaretur, primum factus est dies cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram, et omne viride agri antequam esset super terram, et omne fenum agri antequam exoreretur, sicut tractavimus; vel si quid liquidius et congruentius videri et dici potuit aut potuerit.
Infatti, prima di ogni cosa, quando [questa materia, questa formabilità] ricevette una forma, fu il giorno che fu fatto per primo; quando il giorno fu fatto, Dio fece il cielo e la terra e tutto il verde dei campi, prima che [questo verde] fosse sopra la terra, e tutto il fieno dei campi, prima che uscisse [dalla terra]; così ci siamo espressi; oppure, si potrebbe vedere e dire qualcosa che porta una soluzione migliore o che è più congruente.
La prima creazione è stata fatta senza durata di tempo, ma non il governo di questa creazione.
5, 11. 27. Sed illud etiam atque etiam consideremus, utrum possit nobis per omnia constare sententia qua dicebamus, aliter operatum Deum omnes creaturas prima conditione, a quibus operibus in die septimo requievit; aliter ista eorum administrationem, qua usque nunc operatur: id est, tunc omnia simul sine ullis temporalium morarum intervallis; nunc autem per temporum moras, quibus videmus sidera moveri ab ortu ad occasum, coelum mutari ab aestate ad hiemem, germina certis dierum momentis pullulare, grandescere, virescere, arescere. Animalia quoque statutis temporum metis et cursibus et concipi, et perfici, et nasci, et per aetates usque in senium mortemque decurrere, et caetera huiusmodi temporalia. Quis enim operatur ista nisi Deus, etiam sine ullo tali suo motu? non enim et ipsi accidit tempus.
Ma consideriamo ancora e ancora se possiamo ritenere del tutto certa l’affermazione con cui dicevamo che una cosa è opera di Dio quando Egli ha creato tutte le creature una prima volta e si è riposato di queste opere il settimo giorno, mentre un’altra cosa è il loro governo (administratione), attraverso il quale Egli opera fino ad ora: cioè che allora tutto era simultaneo senza alcun intervallo di tempo, mentre ora, attraverso i periodi di tempo, in cui vediamo gli astri muoversi dall’oriente all’occidente, il cielo cambiare dall’estate all’inverno, i semi germogliare, crescere, verdire, seccarsi in determinati periodi di giorni, anche gli animali, in limiti e periodi di tempo prestabiliti, vengono concepiti, si formano, nascono e attraversano le età fino alla morte nella vecchiaia e allo stesso modo per gli altri [che hanno esistenze] temporali. Chi è, dunque, se non Dio, che opera questo senza alcun movimento di questo genere in sé? Infatti, il tempo non lo influenza.
Inter illa ergo opera Dei, a quibus requievit in die septimo, et ista quae usque nunc operatur, quemdam Scriptura interponens suae narrationis articulum, commendavit se illa explicasse, et coepit iam ista contexere. Illorum explicatorum commendatio sic facta est: Hic est liber creaturae coeli et terrae, cum factus est dies, fecit Deus coelum et terram, et omne viride agri antequam esset super terram, et omne fenum agri antequam exoreretur. Non enim pluerat Deus super terram, nec erat homo qui operaretur terram. Istorum autem contextio sic coepit: Fons autem ascendebat de terra, et irrigabat omnem faciem terrae. Ab hac commemoratione fontis huius et deinceps ea quae narrantur, per moras temporum facta sunt, non omnia simul.
Quindi, tra queste opere di Dio, dalle quali Egli si riposò il settimo giorno, e questa, che Egli opera fino ad ora, la Scrittura, interponendo un paragrafo nella sua narrazione, annuncia di aver spiegato quelle cose e comincia a descrivere queste. Ecco l’annuncio che la spiegazione delle prime è stata fatta: «Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e tutta l’erba dei campi, prima che [questa erba] fosse sopra la terra, e tutto il fieno dei campi, prima che uscisse [dalla terra]. Infatti Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era nessun uomo che coltivasse la terra». Invece, è così inizia la trama di queste [le seconde opere]: «Ma una fonte sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra». A partire dalla menzione di questa fonte, ciò che viene raccontato dopo è stato fatto secondo i tempi e non simultaneamente.
Tre modi di considerare l’opera di Dio.
5, 12. 28. Cum ergo aliter se habeant omnium creaturarum rationes incommutabiles in Verbo Dei, aliter illa eius opera a quibus in die septimo requievit, aliter ista quae ex illis usque nunc operatur; horum trium hoc quod extremum posui, nobis utcumque notum est per corporis sensus, et huius consuetudinem vitae. Duo vero illa remota a sensibus nostris, et ab usu cogitationis humanae, prius ex divina auctoritate credenda sunt; deinde per haec quae nota sunt, utcumque noscenda, quanto quisque magis minusve potuerit pro suae capacitatis modo, divinitus adiutus ut possit.
Una cosa sono quindi le ragioni immutabili di tutte le creature nel Verbum di Dio, un’altra le opere [di Dio], dalle quali Egli si è riposato il settimo giorno, e un’altra ancora quelle che Egli opera a partire da queste ultime fino ad ora. Di queste tre [opere], ciò che ho posto per ultimo ci è noto in un certo modo attraverso i sensi corporei e attraverso ciò che è abituale in questa vita. In verità, queste due [prime opere] sono lontane dai nostri sensi e dal funzionamento del pensiero umano; innanzitutto devono essere credute in virtù dell’autorità divina e poi devono essere conosciute, nella misura del possibile, attraverso ciò che è conosciuto, secondo che l’uno ne sarà più capace e l’altro meno, aiutato divinamente in modo da esserne capace.
Articolo sulla «Genesi alla lettera, libro incompleto»
Michael M. G o r m a n, The Text of Saint Augustine’s «De Genesi ad litteram imperfectus liber», in Recherches Augustiniennes et Patristiques, Brepols online