Ambrogio di Milano (Treviri 339-340 – Milano, 397) Il ruolo di Ambrogio in Occidente, nel mondo latino, fu parallelo a quello dei Padri Cappadoci in Oriente. Anche lui convocò un concilio, ad Aquileia, nel settembre del 381. Qui riprese le affermazioni del Concilio di Costantinopoli e offrì all’Occidente commenti biblici che rendevano conto della tradizione interpretativa di Alessandria e della Cappadocia. Fu Ambrogio ad iniziare Agostino alla Bibbia e al battesimo.
Per un’introduzione ai commenti alla Genesi 1, 1 vedi la pagina Genesi 1,1 Nella testa di Dio – Bereshit
Per il lessico latino (principium, verbum) vedi: Lessico dei commenti alla Genesi 1, 1
Exameron, I sei giorni della creazione, cap. 2, 5
2, 5. Unde diuino spiritu praeuidens sanctus Moyses hos hominum errores fore et iam forte coepisse in exordio sermonis sui sic ait: in principio fecit deus caelum et terram, initium rerum, auctorem mundi, creationem materiae conprehendens, ut deum cognosceres ante initium mundi esse uel ipsum esse initium uniuersorum, sicut in euangelio dei filius dicentibus: tu quis es? respondit: initium quod et loquor uobis,
Quindi, il santo Mosè, prevedendo in anticipo, grazie allo spirito divino, questi errori degli uomini, che forse erano già iniziati, disse all’inizio del suo discorso: «In principio Dio creò il cielo e la terra», comprendendo l’inizio delle cose, l’autore del mondo e la creazione della materia, affinché tu potessi sapere che Dio era prima dell’inizio (initium) del mondo e che è lui stesso l’inizio (initium) di tutte le cose, come risponde il Figlio di Dio nel Vangelo a coloro che dicono «Chi sei?»: «Io sono il principio [il termine greco è arkhế], colui che vi parla» (Giovanni 8,25).
Qui ritroviamo la citazione in cui Gesù stesso si identifica con l’arkhế. Questo passo era già stato utilizzato dai padri greci, tra cui Origene e i Cappadoci, per spiegare la prima parola della Bibbia in Genesi 1, 1 come annuncio dell’opera di Cristo, lógos, Parola divina attraverso la quale tutto è stato fatto.
et ipsum dedisse gignendi rebus initium et ipsum esse creatorem mundi, non idea quadam duce imitatorem materiae, ex qua non ad arbitrium suum, sed ad speciem propositam sua opera conformaret. Pulchre quoque ait: in principio fecit, ut inconprehensibilem celeritatem operis exprimeret, cum effectum prius operationis inpletae quam indicium coeptae explicauisset.
È lui che ha dato alle cose l’inizio della generazione ed è lui stesso il creatore del mondo e non colui che dà forma (imitatorem) alla materia secondo una certa idea alla quale ha conformato la sua opera, non secondo il suo libero arbitrio, ma secondo un modello preesistente. Miracolosamente [Mosè] dice anche: «In principio egli fece» per esprimere la rapidità dell’opera che supera l’intelletto, avendo prima spiegato l’effetto prima che l’opera fosse compiuta e prima di dare una spiegazione del suo inizio.
Ambrogio vuole già introdurre il tema della creazione simultanea in Dio di tutte le cose, indicata dalla prima frase: «In principio creò il cielo e la terra». Questo per i padri greci significa già l’annuncio della creazione compiuta, il dettaglio del suo inizio sarà spiegato in seguito nel corso dei giorni.
4, 12. Principium igitur esse docet qui dicit: in principio fecit deus caelum et terram. Principium aut ad tempus refertur aut ad numerum aut ad fundamentum, quomodo in aedificanda domo initium fundamentum est. Principium quoque et conuersionis et deprauationis dici posse scripturarum cognoscimus auctoritate. Est et principium artis ars ipsa, ex qua artificum diuersorum deinceps coepit operatio. Est etiam principium bononim operum finis optimus, ut misericordiae principium est deo placere quod facias ; etenim ad conferendum hominibus subsidium maxime prouocamur. est etiam uirtus diuina, quae hac exprimitur adpellatione. Ad tempus refertur, si uelis dicere in quo tempore deus fecit caelum et terram, id est in exordio mundi, quando fieri coepit, sicut ait sapientia: cum pararet caelos, cum illo eram.
Chi dice: «In principio Dio creò il cielo e la terra», insegna quindi che esiste un principio (principium). La parola principium si riferisce al tempo o al numero o al fondamento, allo stesso modo che nella costruzione di una casa l’inizio è il fondamento. Per autorità delle Scritture, sappiamo anche che principium può essere detto di ciò che si orienta verso qualcosa (conversio) o si corrompe. Il principium dell’arte è l’arte stessa da cui ha avuto inizio l’attività dei diversi artisti. Inoltre, il principium delle buone opere è il fine eccellente, così come il principium della misericordia è che ciò che fai piaccia a Dio; infatti, è così che siamo stimolati al massimo a offrire aiuto agli uomini. Anche la potenza (virtus) divina è espressa da questo termine (principium). Si riferisce al tempo, se vuoi dire a quale momento Dio ha fatto il cielo e la terra, cioè all’inizio del mondo, quando ha cominciato a essere fatto, come dice la Sapienza: «Io ero con lui quando preparava i cieli» (Proverbi 8, 27).
ad numerum autem si referamus, ita conuenit, ut accipias: inprimis fecit caelum et terram, deinde colles, regiones, fines inhabitabiles uel sic: ante reliquas uisibiles creaturas, diem, noctem, ligna fructifera, animantium genera diuersa, caelum et terram fecit. Si uero ad fundamentum referas, principium terrae fundamentum esse legisti dicente sapientia: quando fortia faciebat fundamenta terrae, eram penes illum disponens. Est etiam bonae principium disciplinae, sicut est illud: initium sapientiae timor domini, quoniam qui timet dominum declinat errorem et ad uirtutis semitam uias suas dirigit. nisi enim quis timuerit deum, non potest renuntiare peccato..
Se invece ti riferisci al numero, è opportuno che tu lo comprenda così: prima fece il cielo e la terra, poi le colline, le pianure e le regioni abitabili, oppure così: fece il cielo e la terra prima delle altre creature visibili, il giorno, la notte, gli alberi da frutto e le diverse specie animate. Se, in verità, ti riferisci al fondamento, hai letto che la saggezza dice che il principium è il fondamento della terra: «Quando fortificava le fondamenta della terra, io ero accanto a lui disponendo (disponens) [la creazione]. C’è anche il principium della buona disciplina, secondo quanto [si dice] di esso: «Il principio della saggezza è il timore (timor) del Signore», poiché chi teme il Signore allontana l’errore e dirige i suoi passi sulla via della virtù. Se infatti qualcuno non teme Dio, non può rinunciare al peccato.
[…]
4, 15. Est etiam initium mysticum, ut illud est: ego sum primus et nouissimus, initium et finis et illud in euangelio praecipue, quod interrogatus dominus quis esset respondit: initium quod et loquor uobis. Qui uere et secundum diuinitatem est initium omnium, quia nemo ante ipsum, et finis, quia nemo ultra ipsum est. Secundum euangelium initium est uiarum domini in opera eius, ut per ipsum disceret hominum genus uias domini sequi et operari opera dei. In hoc ergo principio, id est in Christo fecit deus caelum et terram, quia per ipsum omnia facta sunt et sine ipso factum est nihil quod factum est: in ipso, quia in ipso constant omnia et ipse est primogenitus totius creaturae, siue quia ante omnem creaturam, siue quia sanctus, quia primogeniti sancti sunt, ut primogenitus Istrahel, non quia ante omnes, sed quia sanctior ceteris, sanctus autem dominus super omnem creaturam et secundum corporis susceptionem, quia solus sine peccato, solus sine uanitate, omnis autem creatura subiecta uanitati est.
C’è anche un inizio mistico, come questo: «Io sono il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine» e principalmente quello nel Vangelo dove, interrogato su chi fosse, il Signore risponde: «Io sono l’inizio, colui che vi parla» (Giovanni 8, 25). Questi è veramente, secondo la divinità, l’inizio (initium) di tutto, poiché nessuno è prima di lui, ed è la fine, poiché nessuno è dopo di lui. Secondo il Vangelo, l’inizio delle vie del Signore è nelle sue opere, affinché attraverso di lui il genere umano possa imparare a seguire le vie del Signore e compiere le opere di Dio. Quindi, in questo principium, cioè in Cristo, Dio creò il cielo e la terra, poiché «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che è stato fatto» (Giovanni 1, 3): in lui, perché «in lui sono tutte le cose e lui è il primogenito di ogni creatura» (Colossesi 1, 17), sia perché è prima di ogni creatura, sia perché è santo, poiché i primogeniti sono santi, come «Israele, il primogenito» (Esodo 4,22), non perché è prima di tutti, ma perché è più santo degli altri: ma il Signore è santo al di sopra di ogni creatura e per il fatto che ha assunto un corpo, poiché è l’unico senza peccato, l’unico senza vanità, mentre ogni creatura è soggetta alla vanità.
Possumus etiam intellegere: in principio fecit deus caelum et terram, id est ante tempus, sicut initium uiae nondum uia est et initium domus nondum domus. Denique alii dixerunt ἐν κεφαλαίῳ quasi in capite. Quo significatur in breui et in exiguo momento summa operationis inpleta. sunt ergo et qui principium non pro tempore accipiant, sed ante tempus et κεφάλαιον uel caput, ut dicamus latine, quasi summam operis, quia rerum uisibilium summa caelum et terra est, quae non solum ad mundi huius spectare uidentur ornatum, sed etiam ad indicium rerum inuisibilium et quoddam argumentum eorum quae nou uidentur, ut est illud propheticum: caeli enarrant gloriam dei et opera manuum eius adnuntiat firmamentum. Quod secutus apostolus aliis uerbis in eandem conclusit sententiam dicens: quia inuisibilia eius per ea quae facta sunt intelleguntur. Auctorem enim angelorum et dominationum et potestatum facile intellegimus eum qui momento imperii sui hanc tantam pulchritudinem mundi ex nihilo fecit esse, quae non erat, et non extantibus aut rebus aut causis donauit habere substantiam.
Possiamo anche capire: «Nel principium, Dio creò il cielo e la terra», cioè prima del tempo, allo stesso modo in cui l’inizio non è ancora il cammino e l’inizio della casa non è ancora la casa. Infine, ci sono altri che dicono in kephaláiōi come si direbbe in testa [si potrebbe tradurre: «nel complesso»]. Con questo si intende che l’opera è stata compiuta in un istante breve e infinitesimale. Ci sono quindi alcuni che non intendono principium come tempo, ma come prima del tempo e intendono kephálaion, la testa, come diremmo in latino la somma [la totalità] dell’opera, poiché il cielo e la terra sono la somma di tutte le cose visibili, che non sembrano essere solo un ornamento per la contemplazione di questo mondo, ma anche un indizio delle cose invisibili e un certo argomento per quelle che non si vedono, come questo versetto profetico: «I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani» (Salmo 18, 1). Seguendo questo ragionamento, l’apostolo con altre parole giunge alla stessa conclusione, dicendo: «Poiché ciò che di lui è invisibile è capito attraverso le cose che sono state fatte.” Comprendiamo facilmente che l’autore degli angeli, delle dominazioni e delle potenze è colui che in un istante, con un suo ordine, ha fatto sorgere dal nulla una tale bellezza del mondo, che non era, e ha dato alle cose e alle cause che non esistevano una sostanza.
[…]
4, 18. Nec otiose utique factum legimus quia gentiles plerique, qui coaetemum deo mundum uolunt esse quasi adumbrationem uirtutis diuinae, adserunt etiam sua sponte subsistere. Et quamuis causam eius deum esse fateantur, causam tamen factum uolunt non ex uoluntate et dispositione sua, sed ita ut causa umbrae corpus est. Adhaeret enim umbra corpori et fulgur lumini naturali magis societate quam uoluntate arbitra. Pulchre ergo ait Moyses quia fecit deus caelum et terram. Non dixit quia subesse fecit, non dixit quia causam mundo ut esset praebuit, sed fecit quasi bonus quod foret utile, quasi sapiens quod optimum iudicabat, quasi omnipotens quod amplissimum praeuidebat. Quomodo autem quasi umbra esse poterat, ubi corpus non erat, cum incorporei dei corporea adumbratio esse non potest? quomodo etiam incorporei luminis splendor possit esse corporeus?
In ogni caso, non leggiamo inutilmente che il mondo è stato creato, poiché la maggior parte dei gentili [cioè i non credenti] ritiene che il mondo sia coeterno a Dio, quasi per fare ombra alla virtù divina. Essi affermano anche che esso sussiste da sé. E sebbene riconoscano che la sua causa è Dio, ritengono che Egli ne sia la causa non per sua volontà e decisione, ma allo stesso modo in cui il corpo è causa della sua ombra. Infatti, l’ombra aderisce al corpo e il lampo alla luce più per associazione naturale che per decisione volontaria. È quindi giusto che Mosè dica che «Egli ha fatto il cielo e la terra». Egli non ha detto che li ha fatti sussistere, né che ha fornito al mondo una causa affinché esistesse, ma che, in quanto buono, ha fatto ciò che era utile, in quanto sapiente ciò che riteneva migliore, in quanto onnipotente ciò che prevedeva di più vasto. Come avrebbe potuto esserci ombra dove non c’era alcun corpo, dal momento che non può esserci ombra corporea per un dio senza corpo? In che modo lo splendore di una luce incorporea potrebbe essere corporeo?
Articolo sulle relazioni tra Ambrogio e Filone
Hans Lewy, Neue Philontexte in der Ueberarbeitung des Ambrosius. Mit einem Anhang: Neu gefundene griechische Philonfragmente. In: Sitzungsberichte der Koniglich-Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin – historische Klasse – Berlino, 1932, pp. 23-84.