Il tema della gratuità riveste un ruolo molto importante nella lettera di San Paolo ai Romani. Si tratta della giustizia divina ed è qui che appare la differenza fondamentale tra la giustizia degli uomini e la giustizia divina: attraverso la legge appare la colpa degli uomini, essi sono schiavi del male, ma Dio stesso paga il prezzo del riscatto dello schiavo, ci libera. La colpa degli uomini è quindi stabilita e invece della condanna, al colpevole che si pente, che fa appello alla misericordia del giudice, viene offerto il per-dono. Non solo la giustizia divina offre l’assoluzione, ma rende giusti perché la gratuità del dono ci rivela l’immensità dell’amore divino. Come prezzo del riscatto, ha offerto la propria vita per noi, senza guardare ai nostri meriti, senza fare distinzioni, l’ha offerta per tutti noi, mentre eravamo tutti ugualmente colpevoli. Ha offerto la propria vita in Gesù Cristo suo figlio, la grazia che ci viene offerta è lui stesso, perché la sua vita ci è data in condivisione, il suo stesso spirito è riversato su di noi e ci rende simili a lui, fa anche di noi figli di Dio. Quindi, la giustizia divina non solo assolve il colpevole pentito, ma lo rende giusto. È così che bisogna intendere la parola giustificare, non nel senso di scusare, ma nel senso di rendere a sua volta giusto, di trasformare il colpevole in uomo giusto, quando riconosce i propri errori.
Ecco alcune parole chiave, in greco, per comprendere questo vocabolario giuridico che ci ricorda un processo, ma questo processo si svolge secondo la giustizia divina che è ben diversa dalla giustizia umana.
hamartía (ἁμαρτία) l’errore, la colpa. Di solito si traduce la parola ἁμαρτία con peccato. Ma, nel suo significato originario, questa parola significa mancare il bersaglio, non avere parte (μέρος), non raggiungere l’obiettivo. Indica quindi l’errore, il fatto di aver mancato il bersaglio. San Paolo dice che Dio copre gli errori, li nasconde per dire che non li mette in luce davanti all’uomo che ne sarebbe schiacciato. Dio è colui che non tiene conto delle colpe durante un processo, che concede la grazia, che assolve, cioè lascia andare le colpe, le perdona. Il verbo usato nel versetto 7 ἀφέθησαν come in un processo è ἀφίημι, cioè lasciare andare. Ciò significa non tenere conto di una colpa. Come dice il salmo 130, 5: «Dio, se tu tenessi conto delle colpe, chi resterebbe in piedi?» (אִם־עֲוֹנֹ֥ות תִּשְׁמָר־יָ֑הּ אֲ֝דֹנָ֗י מִ֣י יַעֲמֹֽד). Ma, come vedremo, Dio non si limita a non contare le colpe, a lasciar correre, a cancellare i nostri torti. Egli non abbandona i suoi figli, non li lascia alla deriva, ma offre loro anche i mezzi per crescere, per fare esperienza del bene, per diventare fonte di bene a immagine del padre.
apolutrōsis (ἀπολύτρωσις): il riscatto. Si tratta di un concetto importante. Si tratta di pagare un prezzo per riscattare uno schiavo o un prigioniero. L’umanità è imprigionata, schiava dell’incatenamento delle violenze con cui si risponde all’offesa con l’offesa, al male con il male. Per liberarci, Cristo ha pagato il prezzo, per mostrarci la via del perdono, era necessario che lui, l’innocente, perdonasse i suoi persecutori e in questo perdono ha incluso l’intera umanità, accecata: «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno» » (Luca 23, 34). Perdonare significa rinnovare il dono, all’infinito, settanta volte sette, come dice Gesù. È il dono della vita divina, offerto in piena gratuità all’umanità, senza guardare ai meriti degli uni o degli altri, ma a tutti senza distinzione. La vita di Dio è sempre offerta a chi vuole riceverla. Non siamo noi che possiamo appropriarcene, essa è al di là di ciò che possiamo raggiungere da soli o di qualsiasi prezzo che potremmo pagare. Possiamo solo accoglierla, quando è Dio che ce la dona: «Nessuno mi toglie la vita, sono io che la metto [nelle vostre mani o in offerta] di mia spontanea volontà [di mia propria volontà]» (Giovanni 10, 18). Per permetterci di trovare la strada, è venuto a raggiungerci e ha pagato il prezzo con la sua stessa vita. Si è fatto uno di noi e si è esposto allo smarrimento, all’accecamento degli uomini che non hanno riconosciuto la sua innocenza. Così, lui, l’innocente, ci ha mostrato la via del perdono che ci strappa da ciò che ci tiene prigionieri, ci ha redenti.
Il riscatto è il prezzo che si paga per ricomprare i prigionieri: in questo versetto 24 c’è una particolare insistenza nel dirci che questo prezzo ci è offerto, è un dono (δωρεὰν) della grazia (χάριτι) di Dio. Il dono della grazia di Dio è la vita del suo stesso figlio, Gesù Cristo, offerta per noi. Accogliere il dono della grazia di Dio significa accogliere Cristo stesso, il suo stesso spirito che ci rende a sua immagine e somiglianza.
dikaiosúnē (δικαιοσύνην): giustizia. La parola giustizia gioca un ruolo centrale: c’è la giustizia degli uomini e quella di Dio. Nel contesto di un processo umano, rendere giustizia implica la condanna se l’imputato si rivela colpevole o l’assoluzione se si rivela innocente. Nella giustizia divina, le cose stanno diversamente. Dio conosce le colpe degli uomini, esse non gli sono nascoste (Salmo 69, 6), ma se si fa appello alla sua misericordia in un atto di fede, cioè di fiducia filiale, egli non le conta (οὐ λογίζεται), non ne tiene conto. Ma c’è qualcosa di ancora più straordinario in questo momento: non solo l’uomo viene assolto, ma riceve lo stesso spirito di Dio che lo rende giusto, ma giusto secondo la giustizia divina. Entrare in una relazione filiale e fiduciosa con Dio implica che lo stesso spirito, il soffio vivificante del Padre, si comunichi al figlio. Quindi, colui che Dio giustifica è reso giusto nel senso che è abitato da questo spirito divino che fa grazia agli uomini. Colui che è così giustificato sarà quindi gradualmente trasformato dallo spirito che abita in lui. L’acquisizione dello spirito creerà un habitus interiore che dispone il cuore dell’uomo al bene, come dice Tommaso d’Aquino nel commento qui sotto. L’uomo potrà perdonare a sua volta: “Perdona a noi le nostre colpe e allora noi perdoniamo ai nostri debitori” (Luca 11,4).
La giustizia di Dio (δικαιοσύνην) corrisponde a un’assoluzione per chi si riconosce colpevole. Riconoscere la propria colpa, il proprio errore, significa scoprire che ci si è sbagliati, che la vera felicità era altrove, era nella gratuità del rapporto d’amore con Dio e con il prossimo.
kháris (χάρις): grazia. Questa parola ha un ruolo fondamentale: è tradotta in latino con gratia grazia, ciò che è dato gratuitamente. kháris corrisponde letteralmente a carità. La parola gratuito deriva da gratia, ciò che è dato per grazia, gratis [che a sua volta deriva dall’ablativo plurale gratiis che significa: per grazia, per benevolenza, per doni]. Questa parola è anche usata per esprimere gratitudine, rendere grazie. La grazia di Dio, quella che ci rende figli, è il dono stesso dello Spirito Santo che trasforma il nostro cuore e crea in noi un habitus che dispone il cuore dell’uomo al bene. Da qui derivano anche i carismi (da χαρισμα), i doni della grazia di Dio, frutti della presenza dello Spirito Santo di Dio nell’uomo.
Romani 3, 19-31: La legge e il giudizio condannano, ma Dio fa grazia, dona il suo spirito
19 Οἴδαμεν δὲ ὅτι ὅσα ὁ νόμος λέγει, τοῖς ἐν τῷ νόμῳ λαλεῖ, ἵνα πᾶν στόμα φραγῇ, καὶ ὑπόδικος γένηται πᾶς ὁ κόσμος τῷ θεῷ·
19 Sappiamo che tutto ciò che dice la legge, lo dichiara a coloro che sono nella legge, affinché ogni bocca sia chiusa e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio.
20 διότι ἐξ ἔργων νόμου οὐ δικαιωθήσεται πᾶσα σὰρξ ἐνώπιον αὐτοῦ· διὰ γὰρ νόμου ἐπίγνωσις ἁμαρτίας.
20 Perciò dalle opere della legge nessuna carne sarà giustificata (δικαιωθήσεται sarà giustificata) davanti a lui: infatti, dalla legge [proviene] il riconoscimento dell’errore.
La legge divina aiuta l’umanità a prendere coscienza, a riconoscere ciò che la svia nella ricerca e nel raggiungimento della felicità. Così sant’Agostino spiega che ogni uomo cerca la propria felicità, ma si sbaglia sul luogo, la cerca dove non è. (Vedi articolo Agostino sulla felicità) Questo è l’errore degli esseri umani: immaginano, ad esempio, che la loro felicità risieda nei beni posseduti dal loro prossimo e non vedono che la vera felicità consiste nell’amicizia e nell’amore reciproco, irrimediabilmente compromessi quando ci appropriamo di qualcosa per noi stessi e non per il bene comune, per la we condivisione. Il primo comandamento ci invita a ritrovare la via della felicità, ricordandoci che tutto ci è dato dalla benevolenza divina e che accogliendo la vita, in noi e nel nostro prossimo, con gratitudine, si apre davanti a noi la via della felicità nell’amicizia e nei legami familiari. Gesù riassumerà tutta la legge nell’amore di Dio e del prossimo (Matteo 38, 40).
21 Νυνὶ δὲ χωρὶς νόμου δικαιοσύνη θεοῦ πεφανέρωται, μαρτυρουμένη ὑπὸ τοῦ νόμου καὶ τῶν προφητῶν·
21 Ora invece, al di fuori della legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, testimoniano di essa la legge e i profeti.
22 δικαιοσύνη δὲ θεοῦ διὰ πίστεως Ἰησοῦ χριστοῦ εἰς πάντας καὶ ἐπὶ πάντας τοὺς πιστεύοντας· οὐ γάρ ἐστιν διαστολή·
22 Ma la giustizia di Dio [manifestata] attraverso la fede di Gesù Cristo [è] per tutti e su tutti i credenti: infatti, non c’è differenza:
Si tratta qui della fede di Gesù Cristo, autore della fede, come dice la lettera agli Ebrei 12, 2, e oggetto di fede. Trasmettendoci il suo spirito, egli rende possibile anche questa fede e questo amore simili ai suoi. Così dice anche il commento di san Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani lectio 3, 302: «Consequenter autem assignat causam huius iustitiae, et dicit iustitia autem Dei est per fidem Iesu Christi, id est quam ipse tradidit. Hebr. XII, 2: aspicientes in auctorem fidei. » «Poi [l’apostolo Paolo] indica la causa di questa giustizia e dice che la giustizia di Dio è attraverso la fede di Gesù, cioè la fede che egli stesso ha trasmesso (Ebrei 12, 2: «Noi che guardiamo all’autore della fede [Gesù Cristo])». Infatti, la Lettera agli Ebrei usa il termine greco ἀρχηγὸν arkhēgón, l’iniziatore, il fondatore, l’autore, per parlare di Gesù come autore della fede. Molte traduzioni di questo passo di Romani 3, 22 traducono la fede in Gesù Cristo, ma il testo dice esattamente la fede di Gesù Cristo, quella di cui egli è il modello e l’autore, quella che ci ha trasmesso, come dice san Tommaso, qui sotto, commentando questo versetto. Tommaso ci ricorda anche che questa stessa fede è un dono, non è qualcosa di cui possiamo trarre merito e far valere davanti a Dio per avere diritto alla nostra assoluzione o giustificazione, cioè per essere dichiarati giusti. Egli ricorda così anche la lettera di san Paolo agli Efesini (2, 8) che dice: «È per grazia che siete salvati ». Qui la parola grazia traduce il greco χάρις kháris (vedi spiegazione di questa parola nell’introduzione sopra).
23 πάντες γὰρ ἥμαρτον καὶ ὑστεροῦνται τῆς δόξης τοῦ θεοῦ,
23 tutti infatti si sono fuorviati [hanno sbagliato] e sono privi della gloria di Dio.
24 δικαιούμενοι δωρεὰν τῇ αὐτοῦ χάριτι διὰ τῆς ἀπολυτρώσεως τῆς ἐν χριστῷ Ἰησοῦ·
24 Sono assolti per dono (δωρεὰν) per grazia (χάριτι) di lui mediante la redenzione, quella [che è] in Cristo Gesù:
Sulle parole chiave utilizzate in questo versetto: redenzione (ἀπολύτρωσις), dono (δωρεὰν) e grazia (χάρις), si vedano le spiegazioni nell’introduzione sopra.
25 ὃν προέθετο ὁ θεὸς ἱλαστήριον, διὰ τῆς πίστεως, ἐν τῷ αὐτοῦ αἵματι, εἰς ἔνδειξιν τῆς δικαιοσύνης αὐτοῦ, διὰ τὴν πάρεσιν τῶν προγεγονότων ἁμαρτημάτων,
25 è lui che Dio ha posto davanti [agli uomini] come vittima propiziatoria, per mezzo della fede, nel suo sangue, per essere il segno visibile della sua giustizia, grazie alla remissione delle colpe precedenti,
26 ἐν τῇ ἀνοχῇ τοῦ θεοῦ· πρὸς ἔνδειξιν τῆς δικαιοσύνης αὐτοῦ ἐν τῷ νῦν καιρῷ, εἰς τὸ εἴναι αὐτὸν δίκαιον καὶ δικαιοῦντα τὸν ἐκ πίστεως Ἰησοῦ.
26 nella pazienza [nel trattenersi] di Dio: segno visibile della sua giustizia per il tempo presente, per essere lui giusto e assolvendo in base alla fede in Gesù.
27 Ποῦ οὖν ἡ καύχησις; Ἐξεκλείσθη. Διὰ ποίου νόμου; Tῶν ἔργων; Οὐχί, ἀλλὰ διὰ νόμου πίστεως.
27 Dove dunque è ciò di cui vantarsi? È stato escluso. Per quale legge [vantarsi]? Per le opere [che compiono questa legge]? No, [ci si potrebbe vantare] piuttosto per la legge della fede.
Qui Paolo si chiede se il fatto di possedere la legge di Mosè, la parola di Dio, possa essere motivo di vanto rispetto agli altri popoli. Oppure se sia il fatto di adempiere alle prescrizioni della legge che può essere motivo di vanto. No, non è perché siamo un popolo che ha ricevuto la parola di Dio e che adempie alle prescrizioni di questa legge che possiamo vantarci. Infatti, le prescrizioni della legge non fanno altro che mettere in evidenza le trasgressioni degli esseri umani, non hanno il potere di salvarli, mentre attraverso la fede possiamo condividere lo spirito d’amore di Gesù, avere fiducia in Dio e questo non è più un privilegio offerto solo al popolo ebraico, ma a tutti gli esseri umani, attraverso la fede, possiamo ritrovare il legame filiale fiducioso in Dio, è Gesù che ha reso possibile tutto questo, mostrandoci il volto misericordioso di Dio, il suo perdono infinito, al quale possiamo accedere attraverso la fede, che ci rende giusti, perché accogliendo il suo perdono siamo pieni di gratitudine, di amore e ritroviamo la fiducia filiale. Una legge esterna agli esseri umani non può trasformarli. Dobbiamo accogliere lo spirito d’amore di Dio ed entrare in una relazione filiale di fiducia con Lui per essere trasformati profondamente. Altrimenti, la legge servirà solo a mettere in evidenza la nostra mancanza d’amore e le nostre trasgressioni. Come dice il libro dei Proverbi (26,16): «Il giusto cade sette volte», nel senso della sua fallibilità. Gli esseri umani non saranno mai all’altezza solo con le loro azioni. I loro cuori e le loro menti devono essere trasformati, e la profezia di Ezechiele 36:26-27 deve essere adempiuta: «Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo. Toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi e vi farò camminare secondo le mie leggi, e voi osserverete le mie prescrizioni e le seguirete fedelmente». Ciò si realizza quando gli esseri umani ritrovano la loro fiducia in Dio attraverso la fede, così che i loro cuori sono pieni di amore e gratitudine, vedendo tutto ciò che Egli fa per noi. Gli esseri umani non possono essere all’altezza dell’amore divino nelle loro opere; saranno sempre inadeguati. La legge li aiuterà a vedere le loro mancanze, ma è attraverso la fede, ritrovando la fiducia filiale, che saranno in grado di ricevere il perdono di Dio, misurare la portata del suo amore ed essere a loro volta riempiti d’amore. Così gli esseri umani sono resi giusti: non perché hanno raggiunto la perfezione da soli, ma perché hanno riconosciuto i propri errori e accettato il perdono di Dio con fiducia.
28 Λογιζόμεθα οὖν πίστει δικαιοῦσθαι ἄνθρωπον, χωρὶς ἔργων νόμου.
28 Riteniamo quindi che l’uomo sia giustificato per fede, a prescindere dalle opere della legge.
29Ἢ Ἰουδαίων ὁ θεὸς μόνον; Οὐχὶ δὲ καὶ ἐθνῶν; Ναὶ καὶ ἐθνῶν·
29 O [è] solo il dio dei Giudei? Ma non [lo è] anche dei popoli? Sì, anche dei popoli:
Si appartiene al popolo ebraico per discendenza di sangue, ma al nuovo popolo può aderire chiunque tramite l’atto di fede.
30 ἐπείπερ εἷς ὁ θεός, ὃς δικαιώσει περιτομὴν ἐκ πίστεως, καὶ ἀκροβυστίαν διὰ τῆς πίστεως.
30 Poiché uno [è] il dio, che giustificherà [il popolo della] circoncisione per fede e [il popolo del] prepuzio per fede.
31 Νόμον οὖν καταργοῦμεν διὰ τῆς πίστεως; Μὴ γένοιτο· ἀλλὰ νόμον ἱστῶμεν.
31 È forse per la fede che rendiamo inefficace la legge? Non sia mai: al contrario, noi confermiamo la legge [letteralmente: la manteniamo in piedi, confermiamo la sua validità].
Commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani, Capitolo 3, lectio 3, [86180], paragrafi 302, su Romani 3, 22.
Consequenter autem assignat causam huius iustitiae, et dicit iustitia autem Dei est per fidem Iesu Christi, id est quam ipse tradidit. Eb 12, 2: aspicientes in auctorem fidei, et cetera. Vel etiam quae de ipso habetur. Infra X, 9: quia si confitearis in ore tuo dominum Iesum, et in corde tuo credideris quod Deus illum suscitavit a mortuis, salvus eris.
Successivamente, tuttavia, attribuisce la causa di questa giustizia, dicendo che la giustizia di Dio è per la fede di Gesù Cristo, cioè quella che egli stesso ci ha trasmesso. Secondo la lettera agli Ebrei 12, 2: «Noi che guardiamo all’autore della fede, Gesù Cristo» o piuttosto alla fede che abbiamo in lui, in Romani 10, 9: «Se confessi con la tua bocca che Gesù è il Signore e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato».
Dicitur autem iustitia Dei esse per fidem Iesu Christi, non ut quasi per fidem mereamur iustificari, quasi ipsa fides ex nobis existat et per eam mereamur Dei iustitiam, sicut Pelagiani dixerunt, sed quia in ipsa iustificatione qua iustificamur a Deo, primus motus mentis in Deum est per fidem. Accedentem enim ad Deum oportet credere, ut dicitur Hebr. XI, 6.
Tuttavia, si dice che la giustizia di Dio è per la fede di Gesù Cristo, non nel senso che per la fede meritiamo di essere resi giusti, come se questa fede venisse da noi e per essa meritassimo la giustizia di Dio [giustizia nel senso che Egli ci renda giusti e ci assolva] , come hanno detto i Pelagiani, ma perché in questa giustificazione [nel fatto di renderci giusti] attraverso la quale siamo giustificati da Dio, il primo movimento del nostro spirito in Dio avviene per fede. Infatti, chi accede a Dio deve credere, come è detto nella lettera agli Ebrei 11, 6: [«Ora, senza la fede è impossibile piacere a Dio; perché chi si avvicina a Dio deve credere che Egli è e che ricompensa coloro che lo cercano»].
Tommaso d’Aquino parla qui della fede come primo movimento dell’uomo verso Dio. Vale a dire, fede nel che l’uomo è entrato in relazione filiale con Dio e che vive questa relazione fiduciosa, cioè che ha fede in lui. Questa relazione filiale, realizzata dalla fede che ci collega a Dio come figli, è un dono. Dio ci offre di essere suoi figli in anticipo, donandoci la vita, senza guardare ai nostri meriti. Ma spetta all’uomo accogliere questo dono e, se lo ha rifiutato, chiederlo nuovamente affinché Dio glielo ridia, per-donandolo, cioè donandolo ancora e ancora. Spetta quindi all’uomo rivolgersi a Dio, convertirsi, operare una conversione, dirigersi verso Dio, per accogliere il suo dono e il suo perdono. La fede è quindi un dono, spetta all’uomo chiederla o accoglierla poiché è sempre offerta.
Unde et ipsa fides quasi prima pars iustitiae est nobis a Deo. Eph. II, 8: gratia estis salvati per fidem, et cetera. Haec autem fides ex qua est iustitia, non est fides informis, de qua dicitur Iac. II, 26: fides sine operibus mortua est, sed est fides per charitatem formata, de qua dicitur Gal. V, 6: nam in Christo Iesu neque circumcisio aliquid valet sine fide, per quam in nobis habitat Christus.
Perciò la fede stessa, come elemento iniziale della giustizia, ci viene da Dio. Così nella lettera agli Efesini 2, 8 si dice: [« Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede. Ciò non viene da voi, è dono di Dio.»] Tuttavia, questa fede, per mezzo della quale è la giustizia, non è la fede informe di cui si parla nella lettera di Giacomo 2, 26: «La fede senza le opere è morta», ma è la fede formata dall’amore gratuito (charitas), di cui si parla nella lettera ai Galati 5, 6: «Infatti, in Cristo Gesù, né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma solo la fede mediante la quale Gesù Cristo abita in noi. »
Ef. III, 17: habitare Christum per fidem in cordibus vestris, quod sine charitate non fit. I Io. IV, 16: qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo. Haec est etiam fides de qua dicitur Atti XV, 9: fide purificans corda eorum, quae quidem purificatio non fit sine charitate. Prov. X, 12: universa delicta operit charitas.
Anche nella lettera agli Efesini 3, 17 si dice: «Che Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede», cosa che non avviene senza l’amore gratuito (charitate). E nella prima lettera di Giovanni 4, 16: «chi dimora nell’amore gratuito (in charitate), dimora in Dio e Dio in lui». Questa è la fede di cui si parla negli Atti degli Apostoli 15, 9: «purificando i loro cuori mediante la fede», purificazione che certamente non avviene senza l’amore gratuito (charitate). [E si dice nel] libro dei Proverbi: «L’amore gratuito (charitas) copre tutti i delitti (delicta).
Commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani, Capitolo 3, lectio 3, [86180], paragrafi 307-309, su Romani 3, 24.
Secundo ostendit quae sit causa iustificationis. Et primo ponit ipsam causam, cum dicit, per redemptionem ut enim dicitur Io. VIII, 34: qui facit peccatum, servus est peccati: ex qua quidem servitute homo redimitur si pro peccato satisfaciat. Sicut si aliquis ob culpam commissam obnoxius esset regi ad solvendam pecuniam, ille eum redimere diceretur a noxa, qui pro eo pecuniam solveret. Haec autem noxa ad totum humanum genus pertinebat, quod erat infectum per peccatum primi parentis.
In secondo luogo, mostra qual è la causa della giustificazione. E in primo luogo, presenta la causa stessa quando dice: «tramite la redenzione (per redemptionem)», come infatti è detto in Giovanni 8, 34: «chi commette il peccato è schiavo del peccato». L’uomo è redento da questo tipo di schiavitù offre soddisfazione per il suo peccato [cioè se offre riparazione]. Ad esempio: se qualcuno, a causa di una colpa commessa, fosse tenuto a pagare una somma al re, si direbbe che colui che lo ha redento dalla sua colpa è colui che avrà pagato la somma per lui. Tuttavia, questa colpa è quella che riguardava tutto il genere umano, che era corrotto a causa del peccato dei primi genitori.
Unde nullus alius pro peccato totius humani generis satisfacere poterat, nisi solus Christus qui ab omni peccato erat immunis. Unde subdit quae est in Christo Iesu. Quasi dicat: in alio non poterat nobis esse redemptio. I Petr. I, 18: non corruptibilibus auro vel argento. Secundo, ostendit unde ista redemptio efficaciam habuit cum dicit quem proposuit Deus propitiatorem. Ex hoc enim Christi satisfactio efficaciam ad iustificandum habuit, et ad redimendum, quia eum Deus ad hoc ordinaverat secundum suum propositum, quod designat cum dicit quem proposuit Deus propitiatorem. Eph. c. I, 11: qui operatur omnia secundum consilium voluntatis suae.
Per questo nessun altro avrebbe potuto dare soddisfazione [offrire riparazione] per il peccato di tutto il genere umano, se non il solo Cristo che era esente da ogni peccato. E [in Romani 3, 24] dopo «Sono giustificati per dono [gratuitamente] per la grazia di lui mediante la redenzione», aggiunge: «che è in Cristo Gesù». Come se dicesse: «Per noi non ci sarebbe potuta essere redenzione in nessun altro». Nella prima lettera di Pietro 1, 18, si dice: «[Sapendo che non è] con cose corruttibili come oro o argento [che siete stati liberati dal modo di vivere vano che vi è stato trasmesso dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di un agnello senza difetto e senza macchia]. In secondo luogo, [l’apostolo] mostra da dove deriva l’efficacia di questo riscatto quando dice [in Romani 3, 25]: «È lui che Dio ha posto davanti [agli uomini] come vittima propiziatoria» . È infatti da questo che la soddisfazione [riparazione] offerta da Cristo trae la sua efficacia per giustificare e redimere: dal fatto che Dio lo aveva predisposto (ordinaverat) a questo, cosa che [l’apostolo] indica dicendo: «Lo ha posto come vittima propiziatoria». Nella lettera agli Efesini 1, 12, dice: «Che compie tutto secondo il disegno della sua volontà».
Vel proposuit. Id est pro omnibus posuit, ut quia humanum genus non habebat unde satisfacere posset, nisi ipse Deus eis redemptorem et satisfactorem daret. Ps. CX, 9: redemptionem misit dominus populo suo. Et sic, dum satisfaciendo, nos redimit a noxa peccati, Deum peccatis nostris propitium facit, quod petebat Psalmista dicens: propitius esto peccatis nostris: et ideo dicit eum propitiatorem. I Io. c. II, 2: propitiatio. In cuius figura, Ex. XXV, v. 17, mandatur quod fiat propitiatorium, id est quod Christus ponatur super arcam, id est, Ecclesiam. Tertio, ostendit per quos redemptionis effectus ad nos perveniat, cum dicit per fidem in sanguine eius, id est, quae est de sanguine eius pro nobis effuso.
Oppure [egli dice]: «Egli ha posto davanti», cioè ha posto davanti a tutti, affinché, poiché il genere umano non aveva con cosa poter soddisfare [riparare], solo Dio stesso potesse dargli qualcuno che lo riscattasse e desse soddisfazione. Il salmo 110, 9 dice: «Dio ha mandato la redenzione al suo popolo». E così, mentre dà soddisfazione, ci riscatta dalla colpa del peccato»: rende Dio indulgente verso i nostri peccati, è ciò che chiede il salmista nel salmo 79, 9, dicendo: «Sii indulgente verso i nostri peccati». Ecco perché [l’apostolo] dice che egli è colui che rende [Dio] propizio o, come dice la prima lettera di Giovanni 2, 2: « [egli è] vittima propiziatoria [per i nostri peccati e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutti]». Come figura [che annuncia] questo, nel libro dell’Esodo 25, 17 è comandato che sia fatto un propiziatorio, cioè che Cristo sia posto sull’arca, che significa la Chiesa. In terzo luogo, [l’apostolo] mostra attraverso quali [vie] l’effetto della redenzione giunge fino a noi, quando dice attraverso la fede nel suo sangue (Romani 3, 25), cioè quella fede che riguarda il suo sangue versato per noi.
Ut enim pro nobis satisfaceret, congruebat ut poenam mortis pro nobis subiret, quam homo per peccatum incurrerat, secundum illud Gen. II, 17: quacumque die, et cetera. Unde dicitur I Petr. III, 18: Christus semel pro peccatis nostris mortuus est. Haec autem mors Christi nobis applicatur per fidem, qua credimus per suam mortem mundum redemisse. Gal. II, 20: in fide vivo filii Dei, qui dilexit me, et cetera. Nam et apud homines satisfactio unius alteri non valeret, nisi eam ratam haberet. Et sic patet quomodo sit iustitia per fidem Iesu Christi, ut supra dictum est.
Infatti, per dare soddisfazione per noi, era opportuno che egli subisse la pena di morte per noi, quella pena che l’uomo aveva incorso a causa del peccato, secondo il libro della Genesi 2, 17: «[E dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai] perché nel giorno in cui ne mangerai, morirai di morte». » Ecco perché nella prima lettera di Pietro 3, 18 si dice: «Cristo è morto una volta per i nostri peccati». Questa morte ci viene applicata attraverso la fede, con la quale crediamo che egli abbia redento il mondo con la sua morte. Galati 2, 20 dice: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, [che mi ha amato e ha dato se stesso per me]». Infatti, anche tra gli uomini, che uno offra soddisfazione [riparazione] al posto di un altro non sarebbe valido senza il consenso [la fede] dell’altro. Così, appare come ci sia giustizia [assoluzione, giustificazione] mediante la fede di Gesù Cristo, come è stato detto sopra.
Commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani, Capitolo 3, lectio 4, [86181], paragrafi 317, su Romani 3, 28.
Deinde cum dicit arbitramur enim, ostendit modum quo per legem fidei gloria Iudaeorum excluditur, dicens: arbitramur enim nos apostoli, veritatem a Christo edocti, hominem quemcumque, sive Iudaeum sive gentilem, iustificari per fidem. Act. XV, 9: fide purificans corda eorum. Et hoc sine operibus legis. Non autem solum sine operibus caeremonialibus, quae gratiam non conferebant, sed solum significabant, sed etiam sine operibus moralium praeceptorum, secundum illud ad Tit. III, 5: non ex operibus iustitiae quae fecimus nos, et cetera. Ita tamen quod hoc intelligat sine operibus praecedentibus iustitiam, non autem sine operibus consequentibus, quia, ut dicitur Iac. II, 26: fides sine operibus, scilicet subsequentibus, mortua est. Et ideo iustificare non potest.
Infatti, quando [l’apostolo, in Romani 8, 28] dice: «Noi riteniamo [che l’uomo sia reso giusto dalla fede, al di fuori delle opere della legge]», mostra il modo in cui per la legge della fede è escluso [un motivo di] gloria per gli ebrei, dicendo: infatti, noi apostoli, istruiti sulla verità da Cristo, riteniamo che ogni uomo, sia egli ebreo o di [altri] popoli, sia reso giusto dalla fede. Nel libro degli Atti degli Apostoli 15, 9 si dice: «[non ha fatto distinzione tra noi e loro], purificando i loro cuori mediante la fede ». E questo senza le opere della legge. Non solo, tuttavia, senza le opere [di carattere] rituale, che non conferivano la grazia, ma la significavano soltanto, ma anche senza le opere [derivanti] dai precetti morali, secondo quanto [dice] la lettera a Tito 3, 5: «[ci ha salvati], non per le opere di giustizia che abbiamo compiuto, [ma per la sua misericordia]», ecc. Tuttavia, bisogna intendere questo [nel senso di] senza le opere che precedono la giustizia e non senza le opere che seguono, come è detto nella lettera di Giacomo 2, 26: «la fede senza le opere», cioè le opere che vengono dopo, «è morta» e quindi non può giustificare.
Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani 4, 1-8:
1 Τί οὖν ἐροῦμεν εὑρηκέναι Ἀβραὰμ τὸν προπάτορα ἡμῶν κατὰ σάρκα;
1 Che diremo allora che Abramo, nostro antenato secondo la carne, ha trovato?
2 εἰ γὰρ Ἀβραὰμ ἐξ ἔργων ἐδικαιώθη, ἔχει καύχημα· ἀλλ’ οὐ πρὸς Θεόν,
2 Se Abramo fosse stato giudicato in base alle opere, avrebbe potuto vantarsene, ma non davanti a Dio.
3 τί γὰρ ἡ γραφὴ λέγει; Ἐπίστευσεν δὲ Ἀβραὰμ τῷ Θεῷ, καὶ ἐλογίσθη αὐτῷ εἰς δικαιοσύνην.
3 Ora, cosa dice la Scrittura? Abramo credette in Dio, e ciò gli fu contato per essere assolto (δικαιοσύνην giustizia).
Il termine δικαιοσύνην giustizia riferito a Dio comprende non solo l’assoluzione, ma anche il fatto di rendere giusto colui che si è dichiarato colpevole (vedi le spiegazioni su questa parola nell’introduzione sopra).
4 τῷ δὲ ἐργαζομένῳ ὁ μισθὸς οὐ λογίζεται κατὰ χάριν ἀλλὰ κατὰ ὀφείλημα·
4 A chi lavora, il salario non è concesso per grazia (χάριν), ma come un diritto.
χάριν è la grazia, ciò che è dato, offerto, gratuitamente, cioè senza alcun compenso. La parola gratis deriva da grazia.
5 τῷ δὲ μὴ ἐργαζομένῳ, πιστεύοντι δὲ ἐπὶ τὸν δικαιοῦντα τὸν ἀσεβῆ, λογίζεται ἡ πίστις αὐτοῦ εἰς δικαιοσύνην,
5 Al contrario, a chi non lavora, ma ha fede in colui che assolve l’empio, la sua fede è considerata per l’assoluzione.
6 καθάπερ καὶ Δαυὶδ λέγει τὸν μακαρισμὸν τοῦ ἀνθρώπου ᾧ ὁ Θεὸς λογίζεται δικαιοσύνην χωρὶς ἔργων·
6 proprio come Davide dice la felicità dell’uomo riguardo al quale Dio proclama un’assoluzione senza le opere:
7 Μακάριοι ὧν ἀφέθησαν αἱ ἀνομίαι καὶ ὧν ἐπεκαλύφθησαν αἱ ἁμαρτίαι·
7 Beati coloro le cui trasgressioni alla legge sono state lasciate andare (perdonate) e i cui errori sono stati coperti.
Ciò che solitamente viene tradotto con peccato è la parola ἁμαρτία che significa errore, mancanza. Qui, san Paolo dice che Dio copre gli errori, li nasconde per dire che non li mette in luce davanti all’uomo che ne sarebbe schiacciato. Dio è colui che non tiene conto delle colpe durante un processo, che concede la grazia, che assolve, cioè lascia andare le colpe, le perdona. Il verbo usato qui, ἀφέθησαν, deriva da ἀφίημι, cioè lasciare andare, come in un processo che si conclude con l’assoluzione.
8 μακάριος ἀνὴρ οὗ οὐ μὴ λογίσηται Κύριος ἁμαρτίαν.
8 Beato l’uomo al quale il Signore non imputerà l’errore.
Commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani, Capitolo 4, lectio 4, paragrafo 325, su Romani 4, 4
Sed contra hoc potest obiici, quia ex consuetudine operum exteriorum generatur interior habitus, secundum quem etiam cor hominis bene disponitur, ut sit promptum ad bene operandum et in bonis operibus delectetur, sicut philosophus docet in II Ethicorum. Sed dicendum est quod hoc habet locum in iustitia humana, per quam scilicet homo ordinatur ad bonum humanum. Huius enim iustitiae habitus per opera humana potest acquiri, sed iustitia quae habet gloriam apud Deum, ordinatur ad bonum divinum, scilicet futurae gloriae, quae facultatem humanam excedit, secundum illud I Cor. II, 9: in cor hominis non ascendit quae praeparavit Deus diligentibus se. Et ideo opera hominis non sunt proportionata ad huius iustitiae habitum causandum, sed oportet prius iustificari interius cor hominis a Deo, ut opera faciat proportionata divinae gloriae.
Ma contro questo si può obiettare che dall’abitudine alle opere esteriori nasce l’habitus interiore, per effetto del quale anche il cuore dell’uomo è disposto al bene, affinché sia pronto ad agire con sollecitudine e a trovare la sua felicità nelle buone opere, come insegna il Filosofo [Aristotele] nelle due Etiche. Ma bisogna
dire che ciò avviene nella giustizia umana, per mezzo della quale l’uomo è orientato verso un bene umano. Infatti, l’habitus di questa giustizia può essere acquisito con le opere umane, ma la giustizia che riveste la gloria presso Dio è orientata al bene divino, cioè alla gloria futura, che supera le capacità umane [di raggiungerla], secondo quanto dice la prima lettera ai Corinzi 2, 9: ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano non raggiunge il cuore dell’uomo. Quindi, le opere degli uomini non sono proporzionate a causare l’habitus di questa giustizia, ma è necessario che il cuore dell’uomo sia prima reso giusto interiormente da Dio, al fine di compiere opere proporzionate alla gloria divina.
Romani 5, 5. 20b-21:
5 ἡ δὲ ἐλπὶς οὐ καταισχύνει, ὅτι ἡ ἀγάπη τοῦ θεοῦ ἐκκέχυται ἐν ταῖς καρδίαις ἡμῶν διὰ πνεύματος ἁγίου τοῦ δοθέντος ἡμῖν.
5 Ma la speranza non mette in imbarazzo, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.
[…]
20 Νόμος δὲ παρεισῆλθεν, ἵνα πλεονάσῃ τὸ παράπτωμα· οὗ δὲ ἐπλεόνασεν ἡ ἁμαρτία, ὑπερεπερίσσευσεν ἡ χάρις·
20 La legge, invece, è stata introdotta affinché abbondasse l’errore: ma dove abbondava l’errore, ancora più abbondante è stata la grazia:
21 ἵνα ὥσπερ ἐβασίλευσεν ἡ ἁμαρτία ἐν τῷ θανάτῳ, οὕτως καὶ ἡ χάρις βασιλεύσῃ διὰ δικαιοσύνης εἰς ζωὴν αἰώνιον, διὰ Ἰησοῦ χριστοῦ τοῦ κυρίου ἡμῶν.
21 affinché, come l’errore ha regnato nella morte, così anche la grazia regni attraverso la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
Commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani, Capitolo 5, lectio 1, paragrafi 392-393 , su Romani 5, 5
Dicit ergo primo: ex hoc possumus scire quod spes non confundit quia charitas Dei diffusa est in cordibus nostris, per spiritum sanctum qui datus est nobis. Charitas Dei autem dupliciter accipi potest. Uno modo pro charitate qua diligit nos Deus, Ier. XXXI, 3: charitate perpetua dilexi te, alio modo potest dici charitas Dei, qua nos Deum diligimus, infra VIII, 38 s.: certus sum quod neque mors neque vita separabit nos a charitate Dei.
Egli dice, quindi, in primo luogo: da ciò possiamo sapere che la speranza non inganna, poiché l’amore gratuito (charitas) di Dio è stato riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato. Tuttavia, l’amore gratuito di Dio può essere inteso in due modi. Da un lato come [l’amore gratuito con cui Dio ci ama], [come dice] Geremia 31, 3: «Ti ho amato con un amore gratuito (charitas) eterno» e in un altro modo l’amore gratuito (charitas) di Dio può essere detto dell’amore con cui noi amiamo Dio, come in Romani 8, 38: «Sono certo che né la morte né la vita ci separeranno dall’amore gratuito di Dio».
Utraque autem charitas Dei in cordibus nostris diffunditur per spiritum sanctum qui datus est nobis. Spiritum enim sanctum, qui est amor patris et filii, dari nobis, est nos adduci ad participationem amoris, qui est spiritus sanctus, a qua quidem participatione efficimur Dei amatores. Et hoc quod ipsum amamus, signum est, quod ipse nos amet. Prov. VIII, 17: ego diligentes me diligo. Non quasi nos primo dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit nos, ut dicitur I Io. IV, 10.
Tuttavia, entrambi gli amori gratuiti di Dio sono diffusi nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, per il fatto che ci è Dati lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio, siamo condotti alla partecipazione dell’amore, che è lo Spirito Santo, e certamente, attraverso questa partecipazione, diventiamo coloro che amano (amatores) Dio. E il fatto stesso che noi lo amiamo è il segno che lui stesso ci ama. Come dice il libro dei Proverbi: «Io amo quelli che mi amano» e la prima lettera di Giovanni 4, 10: «Non è che noi abbiamo amato lui per primi, ma [lo amiamo] perché è lui che ci ha amati per primo. »
Dicitur autem charitas, qua nos diligit, in cordibus nostris diffusa esse, quia est in cordibus nostris patenter ostensa per donum sancti spiritus nobis impressum. Io. III, v. 24: in hoc scimus, quoniam manet in nobis Deus, et cetera. Charitas autem qua nos Deum diligimus, dicitur in cordibus nostris diffusa, id est quia ad omnes mores et actus animae perficiendos se extendit; nam, ut dicitur I Cor. XIII, 4: charitas patiens est, benigna est, et cetera. Ex utroque autem intellectu horum verborum concluditur, quod spes non confundit. Se infatti si accetta la carità di Dio con cui Dio ci ama, è manifesto che non negherà se stesso a coloro che ama. Deut. XXXIII, 3: dilexit populos, omnes sancti in manu illius sunt. Similmente, anche se si accetta la carità di Dio con cui noi amiamo Dio, è manifesto che ha preparato beni eterni per coloro che lo amano. Io. XIV, 21: se quis diligit me, diligetur a patre meo, et cetera.
Tuttavia, si dice che l’amore gratuito con cui Dio ci ama è stato riversato nei nostri cuori perché è stato visibilmente mostrato dal dono dello Spirito Santo impresso in noi. Il Vangelo di Giovanni 3, 24 dice: «Da questo sappiamo che Dio dimora in noi, [per lo Spirito che ci ha dato]». Tuttavia, l’amore gratuito con cui amiamo Dio è detto diffuso nei nostri cuori e questo perché si estende fino a perfezionare i nostri costumi e le azioni dell’anima. Infatti, come è detto nella prima lettera ai Corinzi 13, 4: «L’amore gratuito (charitas) è paziente, benevolo, [l’amore gratuito non è invidioso, non si vanta, non è orgoglioso, non agisce in modo indecente, non cerca il proprio interesse, non si adira facilmente, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità, tutto sopporta, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta]. Tuttavia, dai due modi di intendere questi due [l’amore gratuito di Dio per l’umanità e quello dell’umanità per Dio] si conclude che la speranza non è delusa. Infatti, se si prende l’amore gratuito di Dio con cui Egli ci ama, è evidente che Egli non si rifiuterà a coloro che ama. Il libro del Deuteronomio 33, 3 dice: «Egli ha amato i popoli, tutti i santi sono nella sua mano». Allo stesso modo, se prendiamo l’amore gratuito di Dio con cui noi amiamo Dio, è evidente che Egli ha preparato i beni eterni per coloro che Lo amano. Giovanni 14, 21 dice: «Se qualcuno mi ama, sarà amato dal Padre mio e [io lo amerò e mi manifesterò a lui]».
Questo articolo è collegato a quello che spiega le parole bibliche che ci dicono che Siamo figli di Dio, non suoi servi, e anche all’articolo che parla de La relazione filiale.