Contenuto
- La storica schiavitù del popolo ebraico in Egitto rimanda, nella Bibbia, a una schiavitù sul piano spirituale: l’umanità schiava del male
- Gesù offre il suo perdono all’umanità prigioniera dell’incatenamento delle violenze e la libera
- Paga il prezzo del sangue per le colpe degli uomini offrendo la sua vita come agnello pasquale. Riscatta gli uomini dalla schiavitù
- Questo gesto dimostra la gratuità dell’amore di Dio per le sue creature. Lo spirito di Cristo si diffonde sulla moltitudine e introduce l’umanità nella relazione filiale e fiduciosa con Dio
- Cristo ci sottrae al dominio del male e ci propone di entrare nella piena gratuità della relazione filiale con Dio. Non abbiamo bisogno di comprare la sua benevolenza, egli non guarda ai nostri meriti, siamo suoi figli
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La Bibbia e Gesù in particolare ci parlano spesso della schiavitù. Nell’Antico Testamento si racconta che il popolo ebraico fu portato in schiavitù in Egitto e fu oppresso da condizioni di schiavitù molto dure, fino a quando Dio lo liberò mandando Mosè. Il popolo ebraico, ogni Pasqua, commemora questa liberazione dalla schiavitù in Egitto. Tuttavia, questa schiavitù può anche essere attualizzata e riguardare l’essere umano in generale quando si pensa a ciò che imprigiona spiritualmente l’essere umano, a ciò che incatena il suo spirito, lo tiene prigioniero: si tratta del male. L’essere umano è prigioniero dell’incatenamento delle violenze, risponde al male con il male e non si libera dalle gelosie, dalle rivalità che lo oppongono ai suoi fratelli umani invece di vivere nell’amore fraterno. Ora, la missione di Gesù, e quella che egli affida ai suoi apostoli per perpetuarla, è quella di liberare gli uomini da questa schiavitù. Il mezzo è quello di far intervenire il perdono. Colui che, innocente tra tutti, è stato condannato e torturato ingiustamente dagli uomini, offre il suo perdono all’umanità intera. Colui che legittimamente potrebbe condannarli, interrompe l’incatenamento delle violenze, rivolge all’umanità lo sguardo dei genitori sui loro figli, un amore materno che non vede il proprio figlio come un criminale, ma lo conosce profondamente ed è pronto a perdonare senza limiti, settanta volte sette volte come dice Gesù nel Vangelo di Matteo 18, 21-22. (Per quanto riguarda l’amore paterno e materno di Dio, vedi l’articolo Genesi 1, 2 Ruah, lo spirito di Dio è femminile). Così, Gesù sulla croce affida l’umanità a suo padre perdonando i suoi figli, quelli a cui lui stesso ha dato la vita, lui che è la parola di Dio attraverso la quale tutto è stato fatto (Giovanni 1, 3: «Tutto è stato generato per mezzo di lui e senza di lui nulla di ciò che è stato generato è stato generato») e rimettendo il suo respiro nelle mani del padre, dice: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. » (Luca 23, 34) Così Cristo redime i suoi figli che erano caduti nella schiavitù del male, li libera. Per questo, quando celebrava la Pasqua con i suoi apostoli, cioè quando commemorava la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e il sangue dell’agnello che aveva preservato i primogeniti del popolo ebraico e permesso loro la fuga, annunciò loro che sarebbe stato il suo stesso sangue a liberarli. Nel suo sangue versato per la moltitudine degli uomini si compie la redenzione dalla schiavitù, il prezzo da pagare per riscattare uno schiavo è pagato, una nuova alleanza è conclusa, ma è anche l’alleanza eterna di Dio con gli uomini, rinnovata in Gesù Cristo suo figlio, la sua parola creatrice. (Per spiegazioni più approfondite sul riscatto, vedere il commento di Tommaso d’Aquino alla Lettera ai Romani 3, 24 nell’articolo La gratuità dell’amore). Così, Dio ci chiama ad entrare in una relazione fiduciosa e filiale con Lui, che come un padre e una madre non tiene conto dei nostri errori, delle nostre colpe. Con la nostra fiducia, cioè con la nostra fede, entriamo allora in una relazione filiale. La parola fiducia, dal verbo latino confidere, deriva dalla stessa parola latina fides, quindi fiducia significa ciò che si fa con fede, cum fide e quindi confidere. È questo dono gratuito di amore, di perdono, cioè di dono rinnovato della vita, che strappa l’essere umano dalla mentalità mercantile e servile secondo la quale si possiede solo ciò che si può acquistare, non si ha fiducia nel dono gratuito della vita di Dio e si rimane così prigionieri.
Per comprendere bene le parole di Gesù sul tema della schiavitù e della redenzione, è necessario conoscere le parole greche che sono usate nella Bibbia per dire schiavo ed errore, colpa, e anche le parole ebraiche che sono all’origine della traduzione in greco.
Si tratta innanzitutto della parola doûlos [δοῦλος] che significa schiavo. A volte è tradotta con servitore, a volte con schiavo, a seconda del contesto. In genere viene tradotta con servitore quando il Vangelo parla della paga del servitore e questo avvicina questa figura alla nostra realtà moderna, ma nella nostra realtà il servitore è libero di impegnarsi al servizio di qualcuno o meno, mentre lo schiavo non è libero, potrà essere liberato se viene pagata una somma, se viene riscattato. Ora, nelle parabole del Vangelo si tratta proprio della parola schiavo, che rimanda a una condizione servile, in cui l’essere umano è prigioniero, persino incatenato. Così, Cristo, il figlio di Dio, compirà il suo ruolo di salvatore perché libererà l’umanità che si trova nella schiavitù del male, incatenata. Con il perdono gratuito, riscatterà coloro che erano schiavi del male, li renderà liberi. Il perdono di Dio significa propriamente il rinnovamento del suo dono, del dono della vita divina ai suoi figli: per-donare significa donare ancora e ancora. Questo legame intimo con Dio che ci anima con il suo stesso soffio e il suo spirito d’amore, questa alleanza è eterna e ogni volta che l’essere umano romperà questo legame con la sua mancanza di fede o il suo sospetto sulla gratuità del dono della vita, Dio sarà pronto a rinnovare questa alleanza, questo dono, senza sosta, all’infinito, ogni volta che i suoi figli si rivolgeranno nuovamente a lui con fiducia, fiducia filiale.
E poi, la parola hamartía (ἁμαρτία) che nella Bibbia traduce la parola ebraica khaṭṭ’ah (חַטָּאָה) dalla radice ebraica khaṭ’a (חָטָא). Sia in greco che in ebraico significa mancare il bersaglio, commettere un errore, sbagliare. Di solito è tradotto con la parola peccato, ma questa traduzione non lascia trasparire lo sguardo paterno e materno di Dio sull’uomo che cerca il proprio bene, che cerca di crescere come un bambino, ma sbaglia, commette errori: non sa in cosa consiste ciò che è bene per lui, dove si trova. Ha difficoltà a trovare la sua strada, come un bambino che muove i primi passi o attraversa la strada. È nella fiducia nei genitori che crescerà, è dando loro la mano, accettando il loro aiuto che supererà gli ostacoli e diventerà adulto. L’errore, la colpa, è quindi quella di non aver avuto fiducia, di non aver creduto alle parole dei genitori che indicavano dove si trova la vera felicità. Non è appropriandosi dei beni altrui che il bambino è felice, ma condividendo i propri che scopre la gioia dell’amicizia. È con gratitudine che accoglie il dono della vita che i suoi genitori gli hanno fatto, ed è allora che la pace e la gioia regnano nella famiglia. Troveremo così il senso delle parole di Dio che ci conducono alla felicità. Sono state chiamate i dieci comandamenti, ma il testo della Bibbia parla delle dieci parole di Dio (vedi Esodo 20, 12 e segg. e Deuteronomio 5, 16 e segg.). Queste parole non sono state sufficienti a liberare l’uomo dalla sua schiavitù, ma gli hanno rivelato la sua prigionia. È la fede nella vita divina, nel suo soffio diffuso sull’umanità, gratuitamente, che fa sì che l’essere umano possa accogliere pienamente il dono della vita divina ed entrare pienamente nella relazione filiale rendendo grazie.
Questo articolo è strettamente legato a quello su La gratuità dell’amore, il dono della fede. Nel presente articolo si trovano i versetti biblici che attestano il passaggio dalla schiavitù alla relazione filiale. Nell’articolo sulla gratuità dell’amore di Dio viene presentata la natura del dono di Dio, che ha reso possibile la liberazione e la fede. Il dono della vita di Cristo in cui si riconosce l’amore di Dio.
Testi biblici
Giovanni 8, 34-36
34 ἀπεκρίθη αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς· ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν ὅτι πᾶς ὁ ποιῶν τὴν ἁμαρτίαν δοῦλός ἐστιν τῆς ἁμαρτίας.
34 Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che chiunque commette una colpa (ἁμαρτίαν) è schiavo (δοῦλός) della colpa.
35 ὁ δὲ δοῦλος οὐ μένει ἐν τῇ οἰκίᾳ εἰς τὸν αἰῶνα, ὁ υἱὸς μένει εἰς τὸν αἰῶνα.
35 ma lo schiavo non rimane nella casa per sempre (εἰς τὸν αἰῶνα), il figlio [vi] rimane per sempre (εἰς τὸν αἰῶνα).
Il termine greco aiōn (αἰών) traduce generalmente nella Bibbia il termine ebraico ‘olam (עוֹלָם). Questa parola indica la totalità di un tempo, per tutta la vita o per i secoli dei secoli, le ere delle ere, tutta la durata del tempo e quindi significa anche per sempre. La parola ebraica ‘olam è usata nelle stesse espressioni per dire per sempre, per i secoli dei secoli, ma anche per dire il mondo come il suo equivalente ‘ālam, in arabo, il mondo. Usata nel senso di mondo, questa parola introduce spesso la distinzione: “in questo mondo”, “nell’altro mondo”. In questo passaggio, il testo non usa la parola greca comune aéi (ἀεί) per dire sempre, ma aiōn, che rimanda alla totalità di una vita, a tutta la durata del tempo, eventualmente all’eternità e anche al mondo a venire. Come per dire che il figlio condivide la vita eterna del padre. Infatti, nella frase seguente, la parola figlio indica il figlio di Dio che è venuto per liberare l’umanità dalla schiavitù del male e renderla libera offrendole la vita divina e quindi la filiazione divina, il proprio soffio, il proprio spirito divino che ispira le opere della grazia, dell’amore.
36 ἐὰν οὖν ὁ υἱὸς ὑμᾶς ἐλευθερώσῃ, ὄντως ἐλεύθεροι ἔσεσθε.
36 Se dunque il Figlio vi libererà, in ciò che è [realmente, effettivamente] voi [lo] sarete.
Agostino, Sermone 306: L’errore è cercare la felicità dove non c’è.
Giovanni 15, 7-16: Non vi chiamo servi, vi chiamo amici
Marco 8, 34-35 (paralleli in Mt 10, 39; Luca 17, 33; Giovanni 12, 25)
34 Καὶ προσκαλεσάμενος τὸν ὄχλον σὺν τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ, εἴπεν αὐτοῖς, Ὅστις θέλει ὀπίσω μου ἐλθεῖν, ἀπαρνησάσθω ἑαυτόν, καὶ ἀράτω τὸν σταυρὸν αὐτοῦ, καὶ ἀκολουθείτω μοι.
34 E, chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
35 Ὃς γὰρ ἂν θέλῃ τὴν ψυχὴν αὐτοῦ σῶσαι, ἀπολέσει αὐτήν· ὃς δ’ ἂν ἀπολέσῃ τὴν ἑαυτοῦ ψυχὴν ἕνεκεν ἐμοῦ καὶ τοῦ εὐαγγελίου, οὗτος σώσει αὐτήν.
35 Infatti, chi vorrà salvare la propria anima, la perderà; ma chi perderà la propria anima per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Matteo 10, 8b-10: Non possedete né oro, né argento
8b δωρεὰν ἐλάβετε, δωρεὰν δότε.
8b «Avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente.
9 Μὴ κτήσησθε χρυσὸν μηδὲ ἄργυρον μηδὲ χαλκὸν εἰς τὰς ζώνας ὑμῶν,
9 Non procuratevi né oro, né argento, né moneta di rame da mettere nelle vostre cinture,
10 μὴ πήραν εἰς ὁδὸν μηδὲ δύο χιτῶνας μηδὲ ὑποδήματα μηδὲ ῥάβδον· ἄξιος γὰρ ὁ ἐργάτης τῆς τροφῆς αὐτοῦ.
10 né borsa da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone. Infatti, chi lavora merita il suo cibo. »
Non si entra nella gratuità del rapporto filiale o amichevole con i meriti, con il denaro o con il potere di cui si gode. Al contrario, tutto ciò crea ambiguità nel rapporto, fa sorgere il dubbio se in fondo l’amicizia sia ricercata per interesse, in vista di un profitto, o meno.
Quando Dio invita l’umanità a entrare in una relazione filiale con Lui, ciò può avvenire solo nella piena gratuità. Se immaginiamo di avere più diritto all’amicizia di Dio perché siamo ricchi, la ricchezza ci impedirà di percepire il vero amore di Dio per noi. Allo stesso modo, non è con i propri meriti che un figlio compra l’amore dei suoi genitori. I genitori non dovrebbero amare il figlio nelle sue debolezze e sostenerlo nelle sue difficoltà e nei suoi fallimenti, rassicurandolo del loro amore che è più grande del successo o della riuscita del figlio?
Nel dialogo tra Gesù e un giovane ricco (Marc 19, 17-27), vediamo come Gesù con affetto e amore cerchi di far comprendere la bontà di Dio, che è come quella di un padre e di una madre. Non è perché sei il migliore, non è perché hai successo e ricchezze, che ti amiamo, ma perché sei nostro figlio e ti amavamo già prima che venissi al mondo, prima che accumulassi meriti.
I nostri meriti non sono una moneta con cui acquistare la benevolenza divina, l’amore di Dio ci è già acquisito in anticipo. Guardiamo il giovane maldestro che va incontro a Gesù, anche se fa tutto sbagliato, il Vangelo ci dice: «Gesù lo guardò e lo amò».
Qui la ricchezza diventa un ostacolo al riconoscimento del vero amore. Liberati da ogni ricchezza e scoprirai l’amore con cui Dio ti ama e poi ti restituirà la tua ricchezza centuplicata, già in questa vita. Forse una ricchezza più grande sarà quella della scoperta del vero amore, chi possiede un vero amico possiede un tesoro.
Gesù invita qui a distribuire questa ricchezza ai poveri, essa non è per il profitto personale ma per il bene di tutti. Ritrovare la cura dei nostri fratelli è anche il risultato del rapporto filiale con Dio. Contemplare l’amore di Dio per noi ci dà accesso anche alla scoperta dell’amore che Dio porta al resto dell’umanità, a tutti i suoi figli. Il rapporto filiale con Dio ci introduce anche al rapporto fraterno con il resto dell’umanità, per la quale Dio nutre lo stesso amore. Così, una moltitudine di fratelli e sorelle è offerta a chi entra in relazione filiale con Dio.
Marco 10, 17-27: Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?
Luca 19, 11-27: I dieci servi e le dieci mine
Luca 17, 7-10: Siamo servi inutili
Luca 15, 11-32 Il figliol prodigo
Romani 8,16: Siamo figli di Dio
Questo articolo è collegato a quello che spiega le parole bibliche che parlano de La gratuità dell’amore, del dono della fede ed è anche un approfondimento dell’articolo che parla de La relazione filiale.