Contenuto
- Dio dà vita agli esseri umani con il proprio soffio, è il dono della sua stessa vita, che ci rende figli a immagine e somiglianza di Dio
- Difficoltà dell’essere umano a credere nell’immensità e nella gratuità di questo dono
- Dio è sospettato di averlo fatto per interesse, ma non ha bisogno di servitori
- Ognuno vuole guadagnarsi la propria parte di felicità, rivalità e divisioni tra gli uomini
- Dio continua a ricordare la gratuità del suo amore verso i suoi figli, il suo dono è sempre offerto, anche se gli uomini non lo accolgono, lo propone ancora e ancora, per-dona, cioè ripete il suo dono.
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Questo articolo dà accesso ai seguenti approfondimenti:
- Il sabato, il riposo di Dio
- Siamo figli di Dio, non suoi servi
- La gratuità dell’amore
- Il per-dono
- Il regno dei cieli
- Matteo 6, 9-13 Padre Nostro
La relazione filiale, la gratuità del dono di Dio
Ci è stato offerto un dono e noi non lo accogliamo, pensiamo di possedere solo ciò che abbiamo acquistato con i nostri mezzi. La vita è un dono infinito ed eterno, di una ricchezza senza limiti, ma non sappiamo vederlo, non abbiamo fiducia. Se fossimo tutti al servizio gli uni degli altri, come membra di un unico corpo, non ci sarebbero limiti alla nostra felicità, non ci mancherebbe nulla e ciascuno aiuterebbe l’altro con i propri talenti. La vita di ciascuno sarebbe un tesoro per l’altro, fonte di gioia, di amicizia, di servizio reciproco, dove la debolezza dell’uno è compensata dal dono dell’altro, in una relazione di reciprocità e complementarità.
Così, i padri della Chiesa, come sant’Ambrogio, ci dicono che la fonte della vita, quella del paradiso terrestre che irriga tutta la terra, è nell’anima di ciascuno di noi, che possiamo abbeverarci in ciascuno, che possiamo accogliere in ciascuno una fonte di gioia, di amicizia, di vita e questo senza limiti (vedi Genesi 2, 4-25 Eden). Tutto è stato offerto alla natura umana, l’abbondanza della vita divina immortale, ma l’essere umano se ne è allontanato. È la storia di Adamo ed Eva che ci racconta l’origine di ciò che separa l’essere umano dalla felicità. Questa felicità deriva dal rapporto d’amore che ci unisce gli uni agli altri e questo rapporto ha inizio nel legame che ci unisce a Dio. È qui che bisogna avere fiducia che il dono della vita è un dono gratuito, bisogna vivere questo rapporto filiale con piena fiducia, con abbandono: lasciarsi riempire come il bambino piccolo a cui i genitori vogliono dare tutto. È il sospetto sulla gratuità del dono, sulla benevolenza divina che separa Adamo ed Eva, il genere umano, dalla relazione beata con Dio, con la vita, con il prossimo e che li separa gli uni dagli altri. Gesù ci manifesta l’atteggiamento di Dio verso l’umanità: «Ecco perché il Padre mi ama: perché io rimetto la mia anima, per prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do di mia iniziativa. Ho il potere di darla, ho anche il potere di riprenderla: questo è il comandamento che ho ricevuto dal Padre mio» (Giovanni 10, 17-18). Dio ci ha dato tutto, la sua stessa vita, abbiamo ricevuto tutto, ma vorremmo possedere per conto nostro, con i nostri meriti, da soli, senza dipendere da nessuno. Se tale fosse l’atteggiamento del bambino, si priverebbe del tesoro d’amore che i genitori gli offrono, invece di ricevere con gratuità e fiducia, invece di vivere pienamente il legame d’amore filiale, cercherebbe di appropriarsi da solo di ciò che i genitori gli offrono con gioia. Ruberebbe ciò che gli viene offerto. Il rapporto di fiducia sarebbe rotto e se lo sguardo che rivolgiamo all’altro e ai nostri genitori è quello di chi vuole appropriarsi dei loro beni, questo sguardo non può che essere nascosto, vergognoso, è l’atteggiamento del ladro. Il racconto di Adamo ed Eva ci dice che dopo aver dubitato dell’amore gratuito di Dio e essersi appropriati del frutto dell’albero della vita da soli, invece di riceverlo da Dio, si nascosero, si vergognarono e si sentirono nudi. Non riuscivano nemmeno più a guardarsi l’un l’altro. L’albero della vita era diventato l’albero della conoscenza del bene e del male, avevano fatto l’esperienza del male, lo sguardo che rivolgevano l’uno all’altro nascondeva il loro desiderio di appropriazione, non era più lo scambio gratuito che ci riempie di gioia quando accogliamo con fiducia la vita che ci viene offerta, nella bellezza e nell’amore. (Vedi Genesi 3, 1-24 La colpa). È qui che l’essere umano fatica a fidarsi veramente dell’altro: «Mi ama veramente o è interessato? Il suo amore è sincero o si aspetta qualcosa in cambio?». Ecco cosa si dice l’essere umano; se il bambino dovesse fare lo stesso, se questo sospetto portasse sui propri genitori, dove troverebbe ancora la felicità? Adamo ed Eva cercano di nascondere la loro vergogna con foglie di fico, ma non ci riescono ed ecco che Dio misericordioso viene in loro soccorso: cuce loro abiti di pelle e li riporta l’uno verso l’altro. Ecco l’opera di Dio: condurci verso la fiducia. «Volete entrare nella vita eterna?», ci dice Gesù, volete entrare di nuovo in Paradiso? Niente di più facile: «Siate come i bambini» (Matteo 18, 3), ritrovate la fiducia filiale. Ritrovate quel Paradiso dove l’uno si dona interamente all’altro e dove non formiamo più che un tutt’uno, come le membra di uno stesso corpo che sono ciascuna al servizio dell’altro, interamente donate. (vedi Il Regno dei cieli )
Ecco quindi l’atteggiamento dell’anima umana nei confronti del dono gratuito e ciò che il sospetto genera. Le conseguenze di questi atti sono rappresentate dall’immagine dei figli che Adamo ed Eva genereranno: è la storia di Caino e Abele. Nella storia di questi due fratelli si riflette la condizione umana. Anche noi siamo tutti fratelli perché riceviamo la vita dalla stessa fonte, eppure questo legame fraterno che dovrebbe essere fonte di gioia, che dovrebbe essere un sostegno, nella misura in cui possiamo contare gli uni sugli altri, si trasforma in rivalità e gelosia. È la divisione. In questa storia, ci insegna sant’Ambrogio, vediamo le tendenze dell’anima umana che sono in ciascuno di noi, ognuno di noi è ora Caino, ora Abele (vedi Genesi 4, 1-8 Caino e Abele).
L’immagine di Caino è quella dell’uomo che si appropria del dono di Dio per sé stesso, mentre Abele è l’immagine di colui che accoglie tutto ciò che esiste come proveniente da quella fonte infinita di vita che è in Dio. L’immagine della fonte di vita, di ciò che ci vivifica, la percepiamo nell’infinita misericordia di Cristo sulla croce, egli accoglie tutti gli uomini e, accogliendoli nonostante i loro peccati contro di lui, li riconcilia tra loro, li riconduce gli uni verso gli altri affinché possano davvero gustare questa fonte di vita, che troviamo nella gioia dell’amicizia e dell’amore reciproco. È da questa fonte che l’uomo si è allontanato, dall’esperienza felice della vita fraterna, in cui ci completiamo, condividiamo e sperimentiamo la felicità di Dio quando offre la sua vita al genere umano.
Così Caino, dopo aver ucciso suo fratello, risponde a Dio che gli chiede dove sia suo fratello: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?».
Ha perso il legame fraterno, fonte di ogni gioia. La vita, lo spirito, è nel legame che ci unisce gli uni agli altri e che ci permette di provare gioia per chi è nella gioia e dolore per chi è afflitto. (Vedi anche il figliol prodigo).
Chi ha assaporato questa fonte di gioia, una fonte abbondante di vita eterna sgorgherà in lui e potrà dissetare i suoi fratelli (vedi Giovanni 4, 1-42 La sorgente di acqua viva). Quando si è sperimentata la gioia di amare, tutto diventa un’opportunità per moltiplicare questa esperienza accogliendo sempre di più il nostro prossimo. È l’esperienza di Maria di Magdala seduta vicino a Gesù ad ascoltarlo, lei che metterà tutto il suo amore nel gesto di versare un prezioso profumo sui piedi di Gesù, lei che dà tutto ciò che ha per onorare colui che ci apre la strada verso la fonte della vita, verso la riconciliazione, offrendo la sua vita per la moltitudine. Affinché nel suo perdono troviamo la forza e la gioia di perdonare anche coloro che ci hanno offeso. (vedi Marco 14, 1-11 Il profumo versato su Gesù)
«Nessuno ha un amore più grande di chi offre la propria anima (ψυχή psukhē) per i propri amici» (Giovanni 15, 13). Questa è l’esperienza di coloro che hanno assaporato la fonte della vita, della gioia, quando doniamo senza contare, in piena gratuità, perché è Dio che ci ha amati per primo, con un amore che vuole dare tutto: è l’amore del padre che dice al figlio: «Tutto ciò che è mio è tuo». Entrare nella relazione filiale con Dio significa ricevere tutto come un dono. Il dono del padre che non guarda ai meriti del figlio, ma gli offre tutto. Così, attraverso le parabole, Gesù ci invita a lasciare la nostra logica mercantile, quella del servo che ha meritato la sua paga, e ad entrare in quella del figlio che ha già ricevuto in anticipo tutto ciò che appartiene al padre. (vedi Luca 15, 11-32 Il figliol prodigo e Noi siamo figli di Dio, non suoi servi).
L’amore che ci viene offerto non può essere comprato, qualunque sia il valore dei nostri meriti, sarà sempre irrisorio rispetto al dono che riceviamo da Dio: Egli ci ha dato tutto, l’immensità del suo spirito, la sua beatitudine eterna. Se l’amore potesse essere comprato, sarebbe ancora amore? Da questa considerazione derivano diverse parabole del Vangelo in cui si parla di servi malvagi. Gesù cerca di farci capire che se pensiamo di poter comprare l’amore del Padre, l’amore di Dio, allora attribuiamo a Dio tratti meschini, lo rendiamo avaro, un padre calcolatore, come se una madre aspettasse che il suo bambino la pagasse per allattarlo o i genitori fossero remunerati per il cibo che gli danno. Oppure dei genitori che aspettano di vedere se il loro figlio è meritevole prima di riconoscerlo e chiamarlo figlio. Gesù ci dice allora che Dio non ha bisogno di servi, non è per trarne un beneficio che ci ha chiamati alla vita, che ci ha chiamati a condividere con lui la sua felicità. Questa felicità sta nel dono, nel gesto fiducioso e reciproco che unisce un padre e un figlio, nello scambio profondo e gratificante tra una madre e il bambino che porta in grembo. (Vedi La gratuità dell’amore)
Coloro che rivendicano i propri diritti davanti a un Dio che approfitta dei suoi servitori, non hanno accesso alla loro ricompensa, saranno delusi e infelici, perché giudicheranno insufficiente la loro remunerazione. Coloro che non hanno meriti da far valere, si vedranno ricompensati oltre ogni aspettativa. (Vedi Luca 19, 11-27 I dieci servi e le dieci mine). Ciò che immaginiamo di poter esigere da Dio sarà solo alla nostra misura umana, cioè ben poco rispetto al dono che Dio ci offre condividendo con noi la sua stessa vita: questo dono, proveniente dall’iniziativa divina, non abbiamo potuto scrutarlo, immaginarlo in anticipo, perché supera la comprensione umana. È il soffio divino stesso che ci ridà vita e ci ricrea a sua immagine e somiglianza, dandoci accesso a una relazione intima e profonda con Dio: la stessa relazione che unisce il figlio unico al padre. Allora, egli non ci chiama servi, ma amici, figli amati dal Padre. (vedi Siamo figli di Dio, non suoi servi)
È allora che entriamo nel regno dei cieli, la vita beata in cui lo spirito di amore filiale ci unisce a Dio rendendoci un popolo di fratelli, membra dello stesso corpo. È allora che entriamo nel riposo di Dio (vedi Il sabato, il riposo di Dio).
Così Gesù manda gli apostoli ad annunciare al mondo che il regno dei cieli si è avvicinato a noi, è in noi (Matteo 10, 7 e Luca 1, 21). La vita del regno è quella che ci viene portata da Gesù, egli ci apre l’accesso (vedi Il regno dei cieli). Per entrare nella vita eterna fin da ora, basta essere come un bambino. Guardiamo alla fiducia che il piccolo nutre nei confronti dei suoi genitori: essa è un modello della fiducia che possiamo riporre in Dio vivendo questo rapporto d’amore con Colui che ci ha dato la vita in piena gratuità. Un bambino deve forse pagare i genitori per il cibo e l’amore che riceve? Non è forse la gioia dei suoi genitori colmarlo di ogni bene e vederlo felice? E l’amore riconoscente che il bambino porta ai suoi genitori è il risultato di un obbligo che gli viene imposto o il frutto spontaneo di chi ha conosciuto questa fonte di amore gratuito e ne è quindi riconoscente? Il bambino, il piccolo, è anche un modello di relazione con il prossimo, aspetta dal Padre l’esortazione a rivolgersi agli altri e quando viene introdotto in questa relazione di fiducia, non fa distinzione tra il povero e il ricco, il giovane o l’anziano, lo straniero o colui che parla la stessa lingua.