Genesi 3, 1-24 La colpa

Tutto è stato offerto alla natura umana, l’abbondanza della vita divina immortale, ma l’essere umano se ne è allontanato. Così, Adamo ed Eva si sono allontanati da Dio, hanno dubitato di Lui e della gratuità della relazione filiale, il legame di fiducia che li unisce a Dio è spezzato. Non ricevono più la vita come dono sovrabbondante della benevolenza divina, non hanno più fiducia in Lui e, allo stesso tempo, non hanno più fiducia l’uno nell’altro, sono nudi e non osano più avvicinarsi l’uno all’altro, la vita è diventata dura, così come il lavoro. Il desiderio di Dio è il desiderio del padre che vuole che i suoi figli provino la gioia più grande, e la gioia più grande scaturisce dal dono e dalla fiducia reciproca. Il suo scopo rimane quello di far provare questo ai suoi figli, quindi cuce loro delle tuniche di pelle per nascondere la loro colpa e ricondurli l’uno verso l’altro.

Genesi 3, 1-24 La colpa, Dio cuce le tuniche

וְהַנָּחָשׁ֙ הָיָ֣ה עָר֔וּם מִכֹּל֙ חַיַּ֣ת הַשָּׂדֶ֔ה אֲשֶׁ֥ר עָשָׂ֖ה יְהוָ֣ה אֱלֹהִ֑ים וַיֹּ֙אמֶר֙ אֶל־הָ֣אִשָּׁ֔ה אַ֚ף כִּֽי־אָמַ֣ר אֱלֹהִ֔ים לֹ֣א תֹֽאכְל֔וּ מִכֹּ֖ל עֵ֥ץ הַגָּֽן׃
01 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che il Signore Dio aveva fatto, e disse alla donna: «Davvero Dio vi ha detto: “Non mangiate da nessun albero del giardino”?

וַתֹּ֥אמֶר הָֽאִשָּׁ֖ה אֶל־הַנָּחָ֑שׁ מִפְּרִ֥י עֵֽץ־הַגָּ֖ן נֹאכֵֽל׃
02 E la donna disse al serpente: «Noi mangiamo i frutti degli alberi del giardino.

וּמִפְּרִ֣י הָעֵץ֮ אֲשֶׁ֣ר בְּתֹוךְ־הַגָּן֒ אָמַ֣ר אֱלֹהִ֗ים לֹ֤א תֹֽאכְלוּ֙ מִמֶּ֔נּוּ וְלֹ֥א תִגְּע֖וּ בֹּ֑ו פֶּן־תְּמֻתֽוּן׃
03 Ma il frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, Dio ha detto: «Non ne mangerete e non lo toccherete, altrimenti morirete».

וַיֹּ֥אמֶר הַנָּחָ֖שׁ אֶל־הָֽאִשָּׁ֑ה לֹֽא־מֹ֖ות תְּמֻתֽוּן׃
04 E il serpente disse alla donna: «Di morte non morirete.

כִּ֚י יֹדֵ֣עַ אֱלֹהִ֔ים כִּ֗י בְּיֹום֙ אֲכָלְכֶ֣ם מִמֶּ֔נּוּ וְנִפְקְח֖וּ עֵֽינֵיכֶ֑ם וִהְיִיתֶם֙ כֵּֽאלֹהִ֔ים יֹדְעֵ֖י טֹ֥וב וָרָֽע׃
05 Poiché Dio sa che, nel giorno in cui ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come dei, che conoscono il bene e il male.

וַתֵּ֣רֶא הָֽאִשָּׁ֡ה כִּ֣י טֹוב֩ הָעֵ֨ץ לְמַאֲכָ֜ל וְכִ֧י תַֽאֲוָה־ה֣וּא לָעֵינַ֗יִם וְנֶחְמָ֤ד הָעֵץ֙ לְהַשְׂכִּ֔יל וַתִּקַּ֥ח מִפִּרְיֹ֖ו וַתֹּאכַ֑ל וַתִּתֵּ֧ן גַּם־לְאִישָׁ֛הּ עִמָּ֖הּ וַיֹּאכַֽל׃
06 E la donna vide che l’albero era buono da mangiare e che era piacevole agli occhi e desiderabile, quell’albero, per capire. E ella prese del suo frutto, ne mangiò e ne diede anche al marito che era con lei, ed egli ne mangiò.

וַתִּפָּקַ֙חְנָה֙ עֵינֵ֣י שְׁנֵיהֶ֔ם וַיֵּ֣דְע֔וּ כִּ֥י עֵֽירֻמִּ֖ם הֵ֑ם וַֽיִּתְפְּרוּ֙ עֲלֵ֣ה תְאֵנָ֔ה וַיַּעֲשׂ֥וּ לָהֶ֖ם חֲגֹרֹֽת׃
07 Allora si aprirono gli occhi di entrambi e si accorsero di essere nudi; cucirono delle foglie di fico e se ne cinsero.

וַֽיִּשְׁמְע֞וּ אֶת־קֹ֨ול יְהוָ֧ה אֱלֹהִ֛ים מִתְהַלֵּ֥ךְ בַּגָּ֖ן לְר֣וּחַ הַיֹּ֑ום וַיִּתְחַבֵּ֨א הָֽאָדָ֜ם וְאִשְׁתֹּ֗ו מִפְּנֵי֙ יְהוָ֣ה אֱלֹהִ֔ים בְּתֹ֖וךְ עֵ֥ץ הַגָּֽן׃
08 E udirono la voce del Signore Dio che andava nel giardino nel vento [ruaḥ spirito] del giorno, e l’uomo e la sua donna si nascosero dalla presenza del Signore Dio in mezzo agli alberi [letteralmente: all’albero] del giardino.

וַיִּקְרָ֛א יְהוָ֥ה אֱלֹהִ֖ים אֶל־הָֽאָדָ֑ם וַיֹּ֥אמֶר לֹ֖ו אַיֶּֽכָּה׃
09 Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?».

וַיֹּ֕אמֶר אֶת־קֹלְךָ֥ שָׁמַ֖עְתִּי בַּגָּ֑ן וָאִירָ֛א כִּֽי־עֵירֹ֥ם אָנֹ֖כִי וָאֵחָבֵֽא׃
10 Egli rispose: «Ho sentito la tua voce nel giardino e ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto».

וַיֹּ֕אמֶר מִ֚י הִגִּ֣יד לְךָ֔ כִּ֥י עֵירֹ֖ם אָ֑תָּה הֲמִן־הָעֵ֗ץ אֲשֶׁ֧ר צִוִּיתִ֛יךָ לְבִלְתִּ֥י אֲכָל־מִמֶּ֖נּוּ אָכָֽלְתָּ׃
11 E disse: «Chi ti ha detto che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo proibito di mangiare?».

וַיֹּ֖אמֶר הָֽאָדָ֑ם הָֽאִשָּׁה֙ אֲשֶׁ֣ר נָתַ֣תָּה עִמָּדִ֔י הִ֛וא נָֽתְנָה־לִּ֥י מִן־הָעֵ֖ץ וָאֹכֵֽל׃
12 E l’uomo disse: «La donna che tu mi hai dato [per essere] con me, è lei che mi ha dato dell’albero, e io ho mangiato».

וַיֹּ֨אמֶר יְהוָ֧ה אֱלֹהִ֛ים לָאִשָּׁ֖ה מַה־זֹּ֣את עָשִׂ֑ית וַתֹּ֙אמֶר֙ הָֽאִשָּׁ֔ה הַנָּחָ֥שׁ הִשִּׁיאַ֖נִי וָאֹכֵֽל׃
13 E il Signore Dio disse alla donna: «Che cosa hai fatto?» E la donna rispose: «Il serpente mi ha ingannata, e io ho mangiato».

וַיֹּאמֶר֩ יְהֹוָ֨ה אֱלֹהִ֥ים ׀ אֶֽל־הַנָּחָשׁ֮ כִּ֣י עָשִׂ֣יתָ זֹּאת֒ אָר֤וּר אַתָּה֙ מִכָּל־הַבְּהֵמָ֔ה וּמִכֹּ֖ל חַיַּ֣ת הַשָּׂדֶ֑ה עַל־גְּחֹנְךָ֣ תֵלֵ֔ךְ וְעָפָ֥ר תֹּאכַ֖ל כָּל־יְמֵ֥י חַיֶּֽיךָ׃
14 E il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sei maledetto fra tutti gli animali e tutti gli esseri viventi del campo. Andrai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita.

וְאֵיבָ֣ה ׀ אָשִׁ֗ית בֵּֽינְךָ֙ וּבֵ֣ין הָֽאִשָּׁ֔ה וּבֵ֥ין זַרְעֲךָ֖ וּבֵ֣ין זַרְעָ֑הּ ה֚וּא יְשׁוּפְךָ֣ רֹ֔אשׁ וְאַתָּ֖ה תְּשׁוּפֶ֥נּוּ עָקֵֽב׃
15 Metterò un odio tra te e la donna, tra la tua discendenza e la sua discendenza: [la sua discendenza] ti colpirà la testa e tu le colpirai il calcagno.

אֶֽל־הָאִשָּׁ֣ה אָמַ֗ר הַרְבָּ֤ה אַרְבֶּה֙ עִצְּבֹונֵ֣ךְ וְהֵֽרֹנֵ֔ךְ בְּעֶ֖צֶב תֵּֽלְדִ֣י בָנִ֑ים וְאֶל־אִישֵׁךְ֙ תְּשׁ֣וּקָתֵ֔ךְ וְה֖וּא יִמְשָׁל־בָּֽךְ׃
16 Alla donna disse: «Moltiplicherò le tue sofferenze e la tua gravidanza; con dolore partorirai figli e verso tuo marito [andrà] il tuo desiderio, ed egli dominerà su di te. »

וּלְאָדָ֣ם אָמַ֗ר כִּֽי־שָׁמַעְתָּ֮ לְקֹ֣ול אִשְׁתֶּךָ֒ וַתֹּ֙אכַל֙ מִן־הָעֵ֔ץ אֲשֶׁ֤ר צִוִּיתִ֙יךָ֙ לֵאמֹ֔ר לֹ֥א תֹאכַ֖ל מִמֶּ֑נּוּ אֲרוּרָ֤ה הָֽאֲדָמָה֙ בַּֽעֲבוּרֶ֔ךָ בְּעִצָּבֹון֙ תֹּֽאכֲלֶ֔נָּה כֹּ֖ל יְמֵ֥י חַיֶּֽיךָ׃
17 E all’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato dicendo: “Non ne mangiare”, maledetta sia la terra (‘adamah) a causa tua, con fatica mangerai tutti i giorni della tua vita.

וְקֹ֥וץ וְדַרְדַּ֖ר תַּצְמִ֣יחַֽ לָ֑ךְ וְאָכַלְתָּ֖ אֶת־עֵ֥שֶׂב הַשָּׂדֶֽה׃
18 [La terra] farà crescere per te spine e cardi e mangerai l’erba dei campi.

בְּזֵעַ֤ת אַפֶּ֙יךָ֙ תֹּ֣אכַל לֶ֔חֶם עַ֤ד שֽׁוּבְךָ֙ אֶל־הָ֣אֲדָמָ֔ה כִּ֥י מִמֶּ֖נָּה לֻקָּ֑חְתָּ כִּֽי־עָפָ֣ר אַ֔תָּה וְאֶל־עָפָ֖ר תָּשֽׁוּב׃
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tornerai alla terra, poiché da essa sei stato preso, perché sei polvere e alla polvere tornerai.

וַיִּקְרָ֧א הָֽאָדָ֛ם שֵׁ֥ם אִשְׁתֹּ֖ו חַוָּ֑ה כִּ֛י הִ֥וא הָֽיְתָ֖ה אֵ֥ם כָּל־חָֽי׃
20 E l’uomo chiamò sua moglie Eva [ḥavvah, cioè che fa vivere], perché era la madre di tutti i viventi.

וַיַּעַשׂ֩ יְהוָ֨ה אֱלֹהִ֜ים לְאָדָ֧ם וּלְאִשְׁתֹּ֛ו כָּתְנֹ֥ות עֹ֖ור וַיַּלְבִּשֵֽׁם׃
21 E il Signore Dio fece ad Adamo e alla sua donna delle tuniche di pelle e li vestì.

וַיֹּ֣אמֶר ׀ יְהוָ֣ה אֱלֹהִ֗ים הֵ֤ן הָֽאָדָם֙ הָיָה֙ כְּאַחַ֣ד מִמֶּ֔נּוּ לָדַ֖עַת טֹ֣וב וָרָ֑ע וְעַתָּ֣ה ׀ פֶּן־יִשְׁלַ֣ח יָדֹ֗ו וְלָקַח֙ גַּ֚ם מֵעֵ֣ץ הַֽחַיִּ֔ים וְאָכַ֖ל וָחַ֥י לְעֹלָֽם׃
22 E il Signore Dio disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi per la conoscenza del bene e del male; ora, che non estenda la sua mano e non colga anche dall’albero della vita e mangi e viva per sempre. »

וַֽיְשַׁלְּחֵ֛הוּ יְהוָ֥ה אֱלֹהִ֖ים מִגַּן־עֵ֑דֶן לַֽעֲבֹד֙ אֶת־הָ֣אֲדָמָ֔ה אֲשֶׁ֥ר לֻקַּ֖ח מִשָּֽׁם׃
23 E il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden [‘eden, cioè delizia] per lavorare la terra (‘adamah) da cui era stato tratto.

וַיְגָ֖רֶשׁ אֶת־הָֽאָדָ֑ם וַיַּשְׁכֵּן֩ מִקֶּ֨דֶם לְגַן־עֵ֜דֶן אֶת־הַכְּרֻבִ֗ים וְאֵ֨ת לַ֤הַט הַחֶ֙רֶב֙ הַמִּתְהַפֶּ֔כֶת לִשְׁמֹ֕ר אֶת־דֶּ֖רֶךְ עֵ֥ץ הַֽחַיִּֽים׃
24 E scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e una spada fiammeggiante che si muoveva per custodire la via dell’albero della vita.

Gregorio di Nissa, Omelia 12 sul Cantico, l’albero in mezzo al paradiso.

6.347.20
πάντα ὅσα ἐποίησεν ὁ θεὸς καλὰ λίαν εἶναι ὁ τῆς κοσμογενείας λόγος μαρτύρεται. ἓν δὲ τῶν λίαν καλῶν ἦν καὶ ὁ ἄνθρωπος, μᾶλλον δὲ πλεῖον τῶν ἄλλων κεκοσμημένος τῷ κάλλει·

Il lógos della creazione del mondo testimonia che tutto ciò che Dio ha fatto era molto bello (Genesi 1, 31). Anche l’uomo era una delle cose molto belle e persino adornato di bellezza più delle altre cose.

τί γὰρ ἂν ἕτερον οὕτως εἴη καλὸν ὡς τὸ τοῦ ἀκηράτου κάλλους ὁμοίωμα; εἰ δὲ πάντα καλὰ λίαν, ἐν δὲ τοῖς πᾶσιν ἢ καὶ πρὸ πάντων ὁ ἄνθρωπος ἦν, οὐκ ἦν πάντως ἐν τῷ ἀνθρώπῳ ὁ θάνατος·

Che cos’altro, infatti, avrebbe potuto essere tanto bello quanto la somiglianza della pura bellezza? Se quindi tutto era molto bello e in questo tutto o piuttosto prima di tutto era l’uomo, la morte non era affatto nell’uomo.

6.348.5 οὐ γὰρ ἂν καλόν τι ὁ ἄνθρωπος ἦν, εἴπερ εἶχεν ἐν ἑαυτῷ τῆς τοῦ θανάτου κατηφείας τὸν σκυθρωπὸν χαρακτῆρα.

Infatti, l’uomo non sarebbe stato qualcosa di bello se avesse avuto in sé il triste segno dell’afflizione della morte.

ἀλλὰ τῆς ἀϊδίου ζωῆς ἀπεικόνισμα ὢν καὶ ὁμοίωμα καλὸς ἦν ὡς ἀληθῶς καὶ λίαν καλὸς τῷ φαιδρῷ τῆς ζωῆς χαρακτῆρι καλλωπιζόμενος.

Ma, essendo l’immagine e la somiglianza della vita eterna, era veramente bello e molto bello, abbellito dal carattere radioso della vita.

ἦν δὲ αὐτῷ καὶ ὁ θεῖος παράδεισος διὰ (6.348.10) τῆς εὐκαρπίας τῶν δένδρων βρύων ζωήν, καὶ ἡ ἐντολὴ τοῦ θεοῦ ζωῆς ἦν νόμος τὸ μὴ ἀποθανεῖν παραγγέλλουσα.

Anche il paradiso divino era suo (Genesi 2,9), che faceva sgorgare la vita con la fertilità dei suoi alberi, e il comandamento di Dio era una legge di vita che ordinava di non morire (Genesi 2,16-17).

ὄντος δὲ κατὰ τὸ μέσον τῆς τοῦ παραδείσου φυτείας τοῦ τὴν ζωὴν βρύοντος ξύλου, τί ποτε χρὴ τὸ ξύλον νοεῖν ἐκεῖνο οὗ ὁ καρπὸς ἡ ζωή,

La pianta del legno che faceva sgorgare la vita era in mezzo al paradiso, come si deve intendere quella il cui frutto era la vita?

καὶ τοῦ θανατηφόρου δὲ ξύλου, οὗ καλὸν (6.348.15) ἅμα καὶ κακὸν εἶναι τὸν καρπὸν ἀποφαίνεται ὁ λόγος,

E [in mezzo al paradiso c’era anche la pianta] del legno che porta la morte, il cui lógos [la parola della Scrittura] dichiara che il frutto era allo stesso tempo buono e cattivo,

καὶ (6.349.1) αὐτοῦ κατὰ τὸ μέσον ὄντος τοῦ παραδείσου, ἀδυνάτου δὲ ὄντος ἐν τῷ μεσαιτάτῳ τοῖς δύο ξύλοις χώραν γενέσθαι;

e poiché questo era anche al centro del paradiso, è impossibile che nel punto che è l’esatto centro ci fosse spazio per due legni;

ὁπότερον γὰρ ἂν δῶμεν ἐξ ἀμφωτέρων ἐπέχειν τὸ μέσον, κατὰ πᾶσαν ἀνάγκην τὸ ἕτερον τῆς τοῦ μέσου χώρας πάντως (6.349.5) ἐξείργεται·

Infatti, se diamo a uno dei due di trovarsi al centro, per necessità l’altro sarà completamente escluso dal posto centrale:

πρὸς γὰρ τὸ περιέχον ἡ ἀκριβὴς τοῦ μέσου θέσις καταλαμβάνεται, ὅταν ἴσοις ἁπαντοχόθεν τοῖς διαστήμασιν ἀπέχῃ τοῦ πέρατος.

Infatti, la posizione precisa del centro si comprende in relazione alla circonferenza, quando si trova a uguale distanza da tutti i punti del perimetro.

ἐπειδὰν τοίνυν ἓν δι’ ἀκριβείας ᾖ τοῦ κύκλου τὸ μέσον, οὐκ ἂν γένοιτο μηχανὴ τοῦ αὐτοῦ μένοντος κύκλου δύο κέντρα κατὰ τὸ μέσον χώραν εὑρεῖν·

Ogni volta, quindi, ci sarà un solo centro del cerchio e secondo il calcolo non è possibile che in un solo cerchio due centri trovino posto nel mezzo:

εἰ γὰρ (6.349.10) ἕτερον παρατεθείη κέντρον τῷ προλαβόντι, πρὸς τοῦτο κατ’ ἀνάγκην συμμετατεθέντος τοῦ κύκλου ἔξω τοῦ μέσου τὸ πρότερον γίνεται τῆς τοῦ κύκλου περιοχῆς τῷ δευτέρῳ κέντρῳ περιγραφείσης.

Se, infatti, si ponesse un altro centro accanto a quello di partenza, necessariamente il cerchio si trasformerebbe rispetto a quest’ultimo, il primo centro si troverebbe fuori dal centro e la circonferenza si disegnerebbe attorno al secondo centro.

ἀλλὰ μὴν ἐν τῷ μέσῳ φησὶν εἶναι τοῦ παραδείσου καὶ τοῦτο καὶ τοῦτο, καίτοι ἐναντίως πρὸς (6.349.15) ἄλληλα κατὰ τὴν δύναμιν ἔχοντα, τό τε ζωοποιὸν λέγω ξύλον καὶ οὗ θάνατος ἦν ὁ καρπός, ὅπερ ἁμαρτίαν ὁ Παῦλος ὠνόμασεν εἰπὼν ὅτι Καρπὸς ἁμαρτίας ὁ θάνατος.

Ma [la Scrittura] dice che questi due erano in mezzo al paradiso e che avevano poteri contrari l’uno rispetto all’altro; dico che un albero produceva la vita e il frutto dell’altro era la morte, frutto che Paolo chiamò peccato, dicendo che il frutto del peccato è la morte.

νοῆσαι ἄρα προσήκει διὰ τῆς τῶν εἰρημένων φιλοσοφίας τοῦτο τὸ δόγμα ὅτι τῆς μὲν τοῦ θεοῦ φυτείας τὸ μεσαίτατόν ἐστιν (6.349.20) ἡ ζωή, ὁ δὲ θάνατος ἀφύτευτος καθ’ ἑαυτόν ἐστι καὶ ἄρριζος ἰδίαν οὐδαμοῦ χώραν ἔχων, τῇ δὲ στερήσει τῆς ζωῆς (6.350.1) ἐμφυτεύεται, ὅταν ἀργήσῃ τοῖς ζῶσιν ἡ μετουσία τοῦ κρείττονος.

È necessario quindi considerare questa affermazione attraverso uno studio approfondito di ciò che è stato detto: ciò che Dio ha piantato e che si trova proprio nel mezzo è la vita, la morte, invece, non è stata piantata e non ha radici, non avendo alcun luogo che le appartenga propriamente, è nella privazione della vita che si insedia, quando nei viventi si indebolisce la partecipazione al bene supremo.

ἐπεὶ οὖν ἐν τῷ μέσῳ τῶν θείων φυτῶν ἐστιν ἡ ζωή, τῇ δὲ ἀποπτώσει ταύτης ἐνυφίσταται ἡ τοῦ θανάτου φύσις, διὰ τοῦτο καὶ τὸ θανατηφόρον ξύλον ὁ τὸ δόγμα τοῦτο (6.350.5) δι’ αἰνιγμάτων φιλοσοφήσας ἐν τῷ μέσῳ εἶναι τοῦ παραδείσου λέγει, οὗ τὸν καρπὸν εἶπε σύμμικτον ἔχειν ἐκ τῶν ἐναντίων τὴν δύναμιν· τὸ γὰρ αὐτὸ καλόν τε εἶναι ἅμα καὶ κακὸν διωρίσατο, τῆς ἁμαρτίας οἶμαι διὰ τούτου τὴν φύσιν ὑπαινιττόμενος.

Poiché, quindi, la vita è nel mezzo delle piante divine, è nel degrado di essa che ha luogo la natura della morte, ed è per questo che chi espone un insegnamento attraverso enigmi fa questa affermazione che il legno portatore di morte era anche nel mezzo del paradiso, e dice che il suo frutto aveva un potere formato da contrari: infatti, lo stesso frutto è definito allo stesso tempo bello e cattivo, alludendo con ciò, credo, alla natura del peccato.

ἐπειδὴ γὰρ πάντων τῶν διὰ κακίας ἐνεργουμένων (6.350.15) ἡδονή τις καθηγεῖται πάντως καὶ οὐκ ἔστιν εὑρεῖν ἁμαρτίαν ἡδονῆς διεζευγμένην, ὅσα τε διὰ θυμοῦ καὶ ὅσα δι’ἐπιθυμίας γίνεται πάθη, τούτου χάριν καὶ καλὸς ὁ καρπὸς ὀνομάζεται κατὰ τὴν ἡμαρτημένην τοῦ καλοῦ κρίσιν τοῖς τὸ καλὸν ἐν ἡδονῇ τιθεμένοις τοιοῦτος δοκῶν.

infatti, un certo piacere guida tutto ciò che è operato da una cattiva inclinazione e in ogni caso non è possibile trovare un peccato che sia separato dal piacere, che si tratti delle passioni generate dalla collera o dal desiderio, è per questo che il frutto è chiamato bello a causa del giudizio errato su ciò che è bello, poiché appare così a coloro che collocano il bello nel piacere.

πονηρὸς δὲ (6.350.10) μετὰ ταῦτα τῇ πικρᾷ τῆς βρώσεως ἀναδόσει εὑρίσκεται κατὰ τὴν παροιμιώδη φωνὴν ἥ φησι Μέλι τῶν χειλέων τῆς κακίας ἀποστάζειν, ἣ πρὸς καιρὸν μὲν λιπαίνει τὸν φάρυγγα, μετὰ ταῦτα δὲ πικρότερον χολῆς τοῖς κακῶς γλυκανθεῖσιν εὑρίσκεται.

Ma dopo ciò, lo si trova cattivo nella digestione amara del cibo, secondo il proverbio (Proverbi 5, 3-4): «Il miele gocciola dalle labbra che hanno cattive intenzioni, per un momento induce olio alla gola, ma dopo ciò è trovato più amaro della bile da chi ha assaggiato la dolcezza facendo il male. »

ἐπειδὴ τοίνυν ἀποστὰς τῆς τῶν (6.350.20) ἀγαθῶν παγκαρπίας ὁ ἄνθρωπος τοῦ φθοροποιοῦ καρποῦ διὰ τῆς παρακοῆς ἐνεπλήσθη (ὄνομα δὲ τοῦ καρποῦ τούτου ἡ θανατοποιὸς ἁμαρτία), εὐθὺς ἐνεκρώθη τῷ κρείττονι (6.351.1) βίῳ τὴν ἄλογον καὶ κτηνώδη ζωὴν τῆς θειοτέρας ἀνταλλαξάμενος.

Quindi, allontanandosi dall’abbondanza di tutti questi frutti, l’uomo, avendo prestato ascolto a ciò che era errato, si riempì del frutto che produce la corruzione (il nome di questo frutto è il peccato che produce la morte), morì immediatamente al modo di vita più elevato, prendendo al posto della condizione di vita più divina, la condizione di vita delle bestie prive di parola.

καὶ καταμιχθέντος ἅπαξ τοῦ θανάτου τῇ φύσει συνδιεξῆλθε ταῖς τῶν τικτομένων διαδοχαῖς ἡ νεκρότης. ὅθεν νεκρὸς ἡμᾶς διεδέξατο βίος αὐτῆς τρόπον τινὰ τῆς (6.351.5) ζωῆς ἡμῶν ἀποθανούσης· νεκρὰ γὰρ ἄντικρύς ἐστιν ἡμῶν ἡ ζωὴ τῆς ἀθανασίας ἐστερημένη.

E una volta che la morte si fu mescolata alla natura, la mortalità fu trasmessa dall’uno all’altro a coloro che furono generati successivamente. Da quel momento, abbiamo ricevuto gli uni dagli altri una vita morta, poiché in un certo senso la nostra stessa vita è stata uccisa: infatti, la nostra vita è morta nel momento stesso in cui è stata privata dell’immortalità.

διὰ τοῦτο ταῖς δύο ταύταις ζωαῖς μεσιτεύει ὁ Ἐν μέσῳ τῶν δύο ζωῶν γινωσκόμενος, ἵνα τῇ ἀναιρέσει τῆς χείρονος δῷ τῇ ἀκηράτῳ τὰ νικητήρια.

È per questo che colui «che è riconosciuto in mezzo alle due vite» (Abacuc 3, 2) è un mediatore tra queste due vite, affinché, con la distruzione di quella inferiore, conferisca il premio della vittoria a quella pura [ἀκηράτῳ intatta, non toccata dalla morte].

Gregorio di Nissa cita qui un passo del profeta Abacuc (3, 2), secondo la traduzione greca che interpreta in senso messianico, secondo cui Cristo, che è di natura divina e quindi immortale, e allo stesso tempo di natura umana e mortale, ha dato la vittoria alla natura divina distruggendo la morte e conducendo la natura umana alla sua purezza originaria, quella per cui è stata creata, l’immortalità.

ὥσπερ τοίνυν τῷ ἀποθανεῖν τῇ ἀληθινῇ ζωῇ ὁ ἄνθρωπος (6.351.10) εἰς τὸν νεκρὸν τοῦτον μετέπεσε βίον, οὕτως ὅταν ἀποθάνῃ τῇ νεκρᾷ ταύτῃ καὶ κτηνώδει ζωῇ, πρὸς τὴν ἀεὶ ζῶσαν ἀντιμεθίσταται, ὡς ἀναμφίβολον εἶναι ὅτι οὐκ ἔστιν ἐν τῇ μακαρίᾳ γενέσθαι ζωῇ μὴ νεκρὸν τῇ ἁμαρτίᾳ γενόμενον.

Allo stesso modo, quindi, come l’uomo, morendo alla vita vera, è caduto in quella morta, così, quando muore a quella morta e alla vita bestiale, è trasferito alla vita che vive sempre, così non c’è dubbio che non è generato nella vita beata, se non diventa morto al peccato.

οὗ χάριν ἐν τῷ αὐτῷ κατὰ τὸ μέσον ἑκάτερον τῶν ξύλων (6.351.15) εἶναι ὑπὸ τοῦ λόγου πεφιλοσόφηται ὡς τοῦ μὲν φύσει ὄντος, τοῦ δὲ ἐπιγινομένου τῷ ὄντι διὰ στερήσεως·

È grazie a ciò che attraverso la parola ci è stato insegnato con filosofia che ciascuno dei due legni si trova nello stesso mezzo, nel senso che uno vi si trova per natura, l’altro è stato generato su quello che vi era già presente attraverso la privazione.

ἐκ γὰρ τοῦ αὐτοῦ ἐπὶ τοῦ αὐτοῦ διὰ μετουσίας τε καὶ στερήσεως ἡ ἀντιμετάστασις γίνεται καὶ ζωῆς καὶ θανάτου ἐπειδὴ ὁ νεκρωθεὶς τῷ ἀγαθῷ ζῇ τῷ κακῷ καὶ ὁ νεκρὸς ἐν κακίᾳ (6.352.1) γενόμενος πρὸς τὴν ἀρετὴν ἀνεβίω.

Lo scambio tra la vita e la morte avviene nello stesso essere a partire dallo stesso essere, per partecipazione e per privazione: chi è morto al bene vive nel male e il morto immerso nel male ritrova la vita dirigendosi verso la virtù.

Vedi anche l’articolo L’albero della vita nel menu Apocalisse, perché l’albero della vita è anche l’annuncio della vita divina offerta all’uomo da Gesù Cristo sull’albero della croce. È la croce che diventa il segno dell’amore e del perdono divino offerto agli uomini, del Paradiso riaperto agli uomini. Nelle visioni dei profeti e in particolare nella visione di San Giovanni descritta nel libro dell’Apocalisse, la vittoria del Messia sul male e sulla morte e il dono dello Spirito d’amore offerto agli uomini sono rappresentati da numerose immagini, si veda a questo proposito l’articolo: Le immagini della realtà spirituale nell’Apocalisse.

Ovadia Sforno (Cesena 1470- Bologna 1550) su Genesi 3, 2: Il serpente è l’immaginazione הנחש והוא הדמיון

מכל עץ הגן נאכל ואין לנו צורך להכנס בסכנת אכיל’ עץ שהאל ית’ אמר לנו שבאכלנו ממנו נמות. אמנם הדמיון התחזק ליחס קנאה ושקר ח »ו לאל ית’ וצייר שאמר אותו הפרקי כדי שלא ישיגו בו התועלת להיות כאלהים ושלא יסבב מות כלל. ובכן אמר אל האשה:לא מות תמותון

Di ogni albero del giardino noi mangiamo. Non abbiamo bisogno di metterci in pericolo mangiando dall’albero che Dio, benedetto sia, ci ha detto che se ne avessimo mangiato saremmo morti. Tuttavia, l’immaginazione si è rafforzata [al punto] da attribuire a Dio le prerogative della gelosia e della menzogna, che Dio ci preservi da ciò e sia benedetto. Ha immaginato che Dio avesse proibito quel frutto affinché non ottenessero grazie ad esso il vantaggio di essere come dei e che ciò non causasse affatto la morte. Per questo [il serpente] disse alla donna: «Non morirai».

Kli Yakar, opera di Salomon Ephraim de Luntschitz (1550 Łęczyca, Polonia – 1619 Praga) su Genesi 3, 6

וכי תאוה הוא לעינים. כי בכל חטא יש ליצר טוב ויכוח עם היצר הרע כי היצר טוב מבטיחו שכר הרוחני לעה״ב והיצר הרע משיב עליו וטוען כי טוב לילך אחר התאות המחושות לעין הרואה, כי תאות העה“ז נראין לעין כל, מלילך אחר חמדות העה”ב אשר עין לא ראתה, לכך נאמר ותרא האשה ראתה דברי הנחש וישרו בעיניה טענותיו כי טוב העץ למאכל וכי תאוה הוא לעינים שתאות העה“ז נראין עין בעין לאפוקי חמדות העה”ב עין לא ראתה והרוצה לשקר ירחיק עידיו (הרא״ש שבועות ו יג).

Che era desiderabile agli occhi (Genesi 3, 6): Per ogni peccato, la buona inclinazione è in conflitto con la cattiva inclinazione, poiché la buona inclinazione assicura una ricompensa spirituale per il mondo a venire e la cattiva inclinazione replica e argomenta che è bene seguire i desideri per le cose sensibili che l’occhio può vedere, poiché i desideri di questo mondo sono per gli occhi di tutti, piuttosto che perseguire i piaceri del mondo a venire che l’occhio non ha visto. Per questo si dice «e la donna vide», lei vide le parole del serpente e le sue argomentazioni le apparvero giuste ai suoi occhi, poiché «l’albero era buono da mangiare e desiderabile agli occhi», poiché i desideri di questo mondo sono visibili agli occhi, a differenza dei piaceri del mondo che verrà che l’occhio non ha visto e che chi vuole mentire allontana le sue testimonianze.

Rabbi Moshe ben Nahman (Nahmanide), acronimo Ramban (Girona, 1194 – Acri, 1270) su Genesi 3, 7

(ותפקחנה עיני שניהם לענין החכמה דבר הכתוב ולא לענין ראיה ממש וסופו מוכיח וידעו כי ערומים הם כלשון רש »י וכן גל עיני ואביטה נפלאות מתורתך (תהלים קיט יח

Allora si aprirono gli occhi di entrambi (Genesi 3, 7): questo riguarda la saggezza e non una visione reale, come dimostra la fine del versetto: «e si resero conto di essere nudi», secondo la spiegazione di Rashi. Allo stesso modo nel salmo 119, 18: «Apri i miei occhi e contemplerò le meraviglie della tua legge».

Ovadia Sforno (Cesena 1470- Bologna 1550) su Genesi 3, 7

וידעו כי ערומים הם ידעו שראוי לכסות מקום הערוה בהיות מעתה רוב פעולתו מכוונת לתענוג מאוס ומזיק:

E capirono di essere nudi (Genesi 3, 7): Capirono che era opportuno coprire il luogo della nudità, poiché d’ora in poi la maggior parte della loro attività era diretta al piacere, oggetto di vergogna e dannoso.

Rabbi Moshe ben Nahman (Nahmanide), acronimo Ramban (Girona, 1194 – Acri, 1270) su Genesi 3, 8

ולפי דעתי כי טעם מתהלך בגן עדן כטעם והתהלכתי בתוככם (ויקרא כו יב) וילך ה’ כאשר כלה לדבר אל אברהם (להלן יח לג) אלך אשובה אל מקומי (הושע ה טו) והוא ענין גלוי שכינה במקום ההוא או הסתלקותו מן המקום שנגלה בו וטעם לרוח היום כי בהגלות השכינה תבא רוח גדולה וחזק כענין שנאמר (מלכים א יט יא) והנה ה’ עובר ורוח גדולה וחזק מפרק הרים ומשבר סלעים לפני ה’ וכן וידא על כנפי רוח (תהלים יח יא) וכתוב באיוב (איוב לח א) ויען ה’ את איוב מן הסערה ולפיכך אמר בכאן כי שמעו קול ה’ שנתגלה השכינה בגן כמתקרב אליהם לרוח היום כי רוח ה’ נשבה בו בגן כרוח הימים לא רוח גדולה וחזק במחזה בשאר הנבואות שלא יפחדו ויבהלו ואמר כי אף על פי כן נתחבאו מפני מערומיהם

Secondo la mia opinione, il significato di «se ne andava nel giardino» (Genesi 3, 8) è come quello del versetto del libro del Levitico 26, 12: «e me ne andrò in mezzo a voi» e anche in Levitico 18, 33: «e il Signore se ne andò quando ebbe finito di parlare con Abramo» e nel libro di Osea 5, 15: «io andrò, tornerò al mio luogo». Ciò riguarda la rivelazione della Shekinah [la dimora di Dio in mezzo agli uomini] in quel luogo, o il suo ritirarsi dal luogo in cui si era rivelata.
E il significato di «al vento del giorno». Quando la Shekinah si rivela, arriva un vento forte e potente, come è detto nel Primo libro dei Re 19, 11: «Ed ecco il Signore passò e un vento forte e potente squarciò le montagne e frantumò le rocce davanti al Signore» e anche nel Salmo 18, 11: «e vola sulle ali del vento» e anche nel libro di Giobbe 38, 1, è scritto: «E il Signore rispose a Giobbe dalla tempesta». Ecco perché qui (Genesi 3, 8) si dice: «E udirono la voce del Signore», poiché la Shekinah si rivelò nel giardino avvicinandosi a loro con il vento del giorno, poiché il vento [la parola ruaḥ significa anche spirito, soffio] del Signore soffiava nel giardino nella calma, non un vento forte e potente come nella visione delle altre profezie, in modo che non avessero paura e non fossero spaventati. E dice che nonostante ciò si nascosero perché erano nudi.

Rabbi Moshe ben Nahman (Nahmanide), acronimo Ramban (Girona, 1194 – Acri, 1270) su Genesi 3, 16

ולא מצאתי לשון תשוקה רק בחשק ותאוה והנכון בעיני שהעניש אותה שתהיה נכספת מאד אל בעלה ולא תחוש לצער ההריון והלידה והוא יחזיק בה כשפחה ואין המנהג להיות העבד משתוקק לקנות אדון לעצמו אבל יברח ממנו ברצונו והנה זו מדה כנגד מדה כי היא נתנה גם לאישה ויאכל במצותה וענשה שלא תהיה היא מצוה עליו עוד והוא יצוה עליה כל רצונו

Per la parola teshuqah ho trovato solo il significato di desiderio e voluttà. Ciò che a mio avviso è esatto è che egli punisce la donna affinché desideri il marito senza temere le pene della gestazione e del parto e che lui la terra come una serva. Non è consuetudine che il servo desideri acquisire un padrone per sé, ma piuttosto che il suo desiderio sia quello di fuggire da lui. Ed ecco che questa è una misura per una misura, poiché lei ha dato [il frutto] all’uomo e lui ha mangiato a causa del suo comando, quindi la sua punizione è che lei non gli comandi più e che lui le comandi tutto ciò che vuole.

Rashi, acronimo di Rabbi Shlomo ben Itzhak HaTzarfati (Troyes, 1040 circa – 1105) su Genesi 3, 20: sul nome di Eva

חוה. נוֹפֵל עַל לְשׁוֹן חַיָּה, שֶׁמְּחַיָּה אֶת וַלְדוֹתֶיהָ, כַּאֲשֶׁר תֹּאמַר מֶה הֹוֶה לָאָדָם (קהלת ב’), בִּלְשׁוֹן הָיָה

ḥavvahC’è un parallelo [un’assonanza] tra la parola חוה ḥavvah [che dà vita] e la parola hayyah [che fa essere]poiché si dice che dà vita [מְּחַיָּה meḥayyah] alla sua prole e che l’Ecclesiaste 2, 22 dice: «Che cosa da l’essere all’uomo? » [מֶה הֹוֶה לָאָדָם meh hoveh la’adam che cosa è all’uomo o cosa fa essere l’uomo] .

Rashi in questa spiegazione fa un parallelo tra la parola חוה ḥvh e la parola הוה hvh. L’unica differenza è infatti costituita dalla prima lettera, la « », della radice חיה che significa vivere e dalla prima lettera, la « h » della radice היה che significa essere. La forma intensiva delle due radici contiene la lettera vav al centro, così la forma [ḥavvah] della radice ḥayah significa dare vita, e la forma הוה havvah della radice hayah significa essere o far essere.

Kli Yakar, opera di Salomon Ephraim de Luntschitz (1550 Łęczyca, Polonia – 1619 Praga) su Genesi 3, 20

כי היא היתה אם כל חי. למה קרא לה שם עכשיו אחר החטא ועוד חיה היה לו לקרותה ונראה כי קודם החטא נקראת חיה על שם אם כל חי ואחר החטא שגרמה מיתה לדורות הוחלף שמה מן חיה לחוה כי חוה נגזר מן לשון חויא דהיינו נחש, ובא הכתוב לתרץ למה לא קראה נחש בפירוש אלא לפי שקודם זה היתה אם כל חי. ונקראה חיה, על כן בהחליפו שמה לא הוצרך להחליף כי אם יו״ד בוי״ו כדי שישאר רושם שם ראשון במקומו.

Perché era la madre di tutti gli esseri viventi. Perché [Adamo] le ha dato un nome solo ora, dopo il peccato? Avrebbe dovuto chiamarla ḥayyah (vivente). Sembra che prima del peccato fosse chiamata ḥayyah, a causa del nome «madre di ogni vivente (ḥay)», e dopo il peccato che ha causato la morte alle generazioni [successive], il suo nome fu cambiato da ḥayyah [che dà la vita] in ḥavvah, che deriva dalla parola aramaica ḥivyah, cioè serpente, e la Scrittura rettifica [l’interpretazione] quando non la chiama esplicitamente «serpente», poiché prima di allora era la madre di tutti gli esseri viventi ed era chiamata ḥayyah; per questo motivo, nel cambiare il suo nome, non dovette cambiarlo, se non [sostituendo] uno “yod” con un “vav”, affinché l’impronta del primo nome rimanesse.

La parola חִוְיָא (ḥivya serpente in aramaico) è usata per tradurre la parola ebraica per serpente נָחָשׁ naḥash. Nelle traduzioni aramaiche della Bibbia, chiamate Targumim (plurale della parola Targum che significa traduzione), questa parola è usata, tra l’altro, nei Targum di Numeri 21, 6, che racconta l’episodio dei serpenti che attaccarono il popolo d’Israele nel deserto.