Commento di Itshaq Abravanel al libro della Genesi (Bereshit), cap. 1
Ecco l’inizio del commento di Itshaq Abravanel al libro della Genesi. Abravanel è una figura di spicco del giudaismo del XV secolo. Nato a Lisbona nel 1437, fu dapprima consigliere e tesoriere del re Alfonso V del Portogallo, poi, alla morte del re, dovette fuggire in Castiglia nel 1483 dove, dopo qualche tempo, entrò al servizio del re Ferdinando II d’Aragona. Molto apprezzato dalla corte spagnola, dovette tuttavia esiliarsi nuovamente durante l’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Trovò rifugio alla corte del re di Napoli e lo seguì a Messina nel 1495, quando l’esercito francese cacciò il re di Napoli. In seguito lo seguì ancora a Corfù, Monopoli e, infine, si stabilì a Venezia nel 1503, dove lavorò a una trattativa commerciale tra Venezia e il Portogallo. In ogni occasione fu un ardente difensore del suo popolo e impegnò la sua fortuna in sua difesa. Avendo ricevuto una formazione linguistica e letteraria classica in linea con l’interesse del Rinascimento per l’antichità, i commenti biblici che continuò a scrivere per tutta la vita dimostrano una grande erudizione. Viene presa in considerazione ogni tipo di opinione:
quella dei filosofi:
greci (Aristotele, Platone, ecc.), cristiani (Agostino, Tommaso d’Aquino, ecc.), arabi (Avicenna, Al-Ghazali, Averroè, ecc.)
ebrei (Maimonide, Ibn Gabirol, Gersonide (Rav Levi ben Gershon, acronimo Ralbag, Francia 1288-1344)
e anche quelle dei commentatori ebrei della Bibbia che hanno preso in considerazione l’intera tradizione ebraica partendo dal Talmud, dagli antichi Midrashim e dai saggi che sono seguiti, come:
- Saadia Gaon (in ebraico רב סעדיה בן יוסף גאון סורא Rav Saadia ben Yosseph Gaon Soura, acronimo Rassag (רס״ג), Egitto, ~882-Babilonia 942)
- Rav Abraham ben Meir ibn Ezra (in ebraico אברהם אבן עזרא, Spagna ~1092 – ~1167)
- Rabbi Chlomo ben Itzhak HaTzarfati (ebraico: רבי שלמה בן יצחק הצרפתי noto con l’acronimo di Rachi, nato e morto a Troyes ~1040-1105)
- Nahmanide (Gerona, 1194 – Acri, 1270, noto con l’acronimo Ramban, per Rabbi Mosè ben Nahman) e molti altri.
Ecco alcuni estratti dall’inizio del suo commento sul primo versetto della Genesi, in cui passa in rassegna le opinioni di ebrei e non ebrei. Seguiranno altri articoli per presentare anche l’opinione personale di Itshaq Abravanel sulla prima parola della Genesi e sul primo versetto nel suo insieme.
Bereshit
השאלה הראשונה בפסוק ‘בראשית ברא אלהים וגו׳. והיא: שאם בא הכתוב לספר סדר הבריאה ומה הוא אשר קדם בה, היאך יאמר שראשונה ברא את השמים ואת הארץ, כי הנה בהם יוכללו הנמצאים הגשמיים עליונים ותחתונים , ואם כל זה ברא בראשונה מה הוא אשר ברא אחר כך ? ס
Prima domanda sul versetto “Bereshit bara’ elohim, ecc.”: Se la Scrittura volesse parlare dell’ordine (seder) della creazione e di ciò che c’è prima di essa, perché direbbe che per prima cosa ha creato i cieli e la terra, poiché questi comprendono le cose materiali superiori e inferiori? E se ha creato tutto questo per prima cosa, cosa ha creato dopo?
Il commento al primo versetto della Bibbia inizia discutendo il significato della parola «Bereshit». Se le attribuiamo il significato di «prima», «in primo luogo» e pensiamo quindi che questo testo del libro della Genesi voglia parlarci della creazione in una prospettiva cronologica, allora il seguito non è più comprensibile. Infatti, se traduciamo questo versetto con: “In primo luogo Dio creò il cielo e la terra”, vediamo che tutto è stato creato in questo modo, ciò che è in alto, nei cieli, e ciò che è in basso, sulla terra. Allora il commentatore si chiede a cosa servirebbe il seguito dei versetti se tutta l’opera fosse già stata compiuta nel primo versetto.
והמפרשים תירצו זה באומרם, שלא בא הכתוב לספר סדר הבריאה, אבל שמילת בראשית היא סמוכה, יאמר: בראשית ברוא אלהים את השמים ואת הארץ, הארץ היתה תהו ובוהו. זהו דרך רש״י והראב״ע. ונמשך אחריהם הרלב״ג, אם לא שהוא עושה גזרת הכתובים במאמר ׳יהי אור׳. ויאמר הכתוב לדעתו: בראשית ברוא אלהים את השמים ואת הארץ, והיות הארץ תהו ובהו וגר’ ויאמר אלהים יהי אור. ס
I commentatori giustificano ciò dicendo che la Scrittura non vuole parlare dell’ordine della creazione, ma che la parola “bereshit” è in forma costruita (samukha: si tratta di un termine grammaticale che significa “annesso al seguente, appoggiato al seguente”). Bisognerebbe quindi leggere: All’inizio dell’atto di Dio di creare il cielo e la terra, la terra era «tohu va vohu». Questo è il percorso seguito da Rashi e da Rabbi Abraham Ibn Ezrah. Anche Rabbi Levi ben Gershon li seguì, ma questi tagliò i versetti (letteralmente: operò un taglio degli scritti ‘osseh gezerat haketuvim) in modo diverso in corrispondenza della parola “Sia la luce”. In modo da leggere, secondo lui: «All’inizio della creazione del cielo e della terra da parte di Dio, la terra era tohu va vohu, … e Dio disse: «Sia la luce».
Per comprendere meglio queste interpretazioni della Bibbia, è necessario fornire alcune spiegazioni grammaticali. Con l’espressione “stato costruito” si indica la relazione di dipendenza (genitivo) tra due parole, ad esempio: “il cavallo del re”, dove la prima parola è determinata dalla seconda, è annessa alla seconda per trarne una determinazione. La seconda parola aggiunge qualcosa al significato della prima. Così, i famosi commentatori della Bibbia, Rabbi Shlomo ben Itzhak HaTzarfati, detto Rashi, e Rabbi Abraham ben Meir Ibn ‘Ezra, propongono una lettura particolare delle prime due parole della Bibbia: le uniscono l’una all’altra. Per fare questo, è necessario che i due nomi messi in relazione di specificazione, stato costruito (genitivo), siano due sostantivi. Ora, bisogna sapere che l’antica scrittura ebraica ometteva le vocali, le sole consonanti erano sufficienti per garantire la lettura di un testo imparato a memoria. Quindi, solo in un secondo momento è stato aggiunto un sistema di notazione delle vocali tramite punti e linee sopra e sotto le consonanti. Secondo questa notazione, le consonanti delle prime due parole (brshyt br’) si leggono «bereshit bara», che può essere tradotto con «all’inizio creò». Ma vocalizzando in modo diverso si può anche leggere «bereshit bero’». Qui la parola «bero‘» è la forma nominale del verbo bara’, ovvero il fatto di creare, l’azione di creare. Quindi, è possibile unire queste due parole, la prima basata sulla seconda, per dire “all’inizio dell’atto di creare”. Successivamente, per completare la frase, è necessario collegare l’atto di creare al suo soggetto: si tratta infatti dell’atto di creare di Dio, compiuto da Dio, il creare di Dio. Bisogna quindi capire che il primo versetto ci parla dell’inizio della creazione del cielo e della terra, quando questi ancora non esistevano, e ci dice come, attraverso cosa tutto questo ha avuto inizio, dicendo: “Sia la luce”. Questa spiegazione complementare è quella di Rabbi Levi ben Gershon, detto Gershonide, che collega i versetti tra loro fino alle parole: «Sia la luce». Cioè: «All’inizio dell’atto di Dio di creare il cielo e la terra (essendo la terra “tohu va vohu” e le tenebre sulla superficie dell’abisso e lo spirito di Dio che aleggiava sulla superficie delle acque), Dio disse: “Sia la luce”». Ecco, quindi, che Gershonide riunisce questi primi tre versetti in uno solo. Bisogna ricordare che siamo qui nel commento alla prima parola del racconto della Genesi, «bereshit» all’inizio, che secondo questa interpretazione è direttamente unita secondo il senso a «Sia la luce» in modo da comprendere: All’inizio della creazione … Dio disse: «Sia la luce».
Tuttavia, Rabbi Itshaq Abravanel non è d’accordo con questa lettura e ci introdurrà a molte altre interpretazioni di questo versetto.
ואין הפירוש הזה בכללו נכון אצלי, לפי שיתחייב ממנו, שלא זכר הכתוב בעצם ועל הכוונה הראשונה בריאה לשמים ולארץ, שהוא עיקר פינת החידוש ואמונתו. ואם תאמר שאין בזה ביטול, לפי שנזכרה אחר כך בריאת השמים במעשה הרקיע – מה נאמר לארץ שלא נזכרה בה עוד בריאה. גם שיקשה מאד שיאמר הכתוב שהארץ היתה תהו ובהו קודם שיזכור שהיתה נבראת, ושיודיע הכתוב ענייני הארץ והמים והרוח והחושך, קודם שיזכור בריאת השמים הקודמים לכל
Questa interpretazione non è affatto corretta secondo me, poiché ne consegue che la Scrittura non menziona la sua intenzione originaria, la creazione dei cieli e della terra, che è il nucleo fondamentale del suo annuncio innovativo e della sua fede. E se si dice che non è così, poiché dopo di ciò la creazione dei cieli è menzionata nella creazione del firmamento, cosa si dice della terra, la cui creazione non è più menzionata? Sarebbe molto difficile per la Scrittura dire che la terra era «tohu va vohu» prima di menzionare che è stata creata e anche di far conoscere ciò che riguarda la terra, le acque e le tenebre, prima di menzionare la creazione dei cieli e tutto ciò che li precede.
Secondo Rabbi Abravanel, se si interpreta il primo versetto come un’introduzione al primo atto della creazione, che è quello della luce, dicendo che all’inizio di tutta quest’opera Dio disse: «Sia la luce», allora si tralascia l’essenziale. Secondo lui, infatti, se non si traduce «In principio Dio creò il cielo e la terra», ma «All’inizio della creazione… Dio disse: Sia la luce», allora si omette il significato fondamentale della Bibbia. Egli afferma infatti che l’annuncio della creazione, come opera del Creatore, è la caratteristica della Bibbia e della fede. Se la Bibbia non afferma più che tutto ciò che esiste è stato creato dal nulla, allora ritroviamo le idee dei filosofi dell’antichità che parlavano di una materia (hylé) preesistente ed eterna che sarebbe stata modellata da Dio, come vedremo nel seguito del commento.
והראב »ע פירש השמים והארץ הנזכרים בפסוק הזה – על הרקיע, שהוא לדעתו חלק מהאוויר ועל היבשה הנגלית. נמשך לדעתו שלא נזכר במעשה בראשית דבר מהעליונים, אלא מהיסודות ומורכביהם. וכפי דרכו זה אין לנו בכתובי התורה עדויות על בריאת עולם בכללו כי אם על בריאת העולם השפל בלבד […] ס
Rabbi Abraham Ibn Ezrah interpreta il cielo e la terra menzionati in questo versetto come (riferiti) al firmamento, che secondo lui è una parte dell’aria e della (terra) secca che è apparsa. Ne consegue, secondo lui, che nell’opera della creazione non si fa menzione degli esseri superiori, ma solo degli elementi fondamentali e dei loro composti. Secondo questa interpretazione, non abbiamo nelle scritture della Torah alcuna testimonianza della creazione del mondo nel suo insieme, ma solo della creazione del mondo inferiore. […]
Un tema caro a Rabbi Abravanel è quello degli angeli, chiamati anche “eserciti celesti” nella Scrittura. Si dice quindi che se si vede nel cielo e nella terra l’insieme degli elementi dispiegati il secondo giorno, che si trovano sopra e sotto le acque, si riduce la creazione agli elementi visibili, mentre nel cielo e nella terra si può leggere tutto ciò che vi si riferisce e che ne deriverà, comprese le creature celesti.
אמנם הרמב »ן קיבל, שבא הכתוב לספר סוד הבריאה, וכתב שברא הקדוש ברוך הוא מהאין המוחלט, ביום הראשון לבד, שני חומרים מבלי צורה, כוחניים בטבעם, כענין ההיולי הראשון שזכרו פלוסופים. ושמאחד מהם עשה אחר כך כל הדברים העליונים, ומהאחר עשה כל הדברים התחתונים. ושעל שני החומרים הכוחניים ההם אמר ״בראשית ברא אלהים את השמים ואת הארץ״, שהם אשר נבראו בתחילה […] ס
Infatti, Ramban (Rabbi Moses ben Nahman detto Nahmanide, rabbino del XII secolo, Gerona, 1194 – Acri, 1270), ha ricevuto (la tradizione) che la Scrittura vuole raccontare il fondamento della creazione e scrive che il Santo, benedetto sia, ha creato dal nulla assoluto solo il primo giorno: (creò) due materie senza forma, in potenza nella loro natura, come per la «hylé» prima nominata dai filosofi. E che da una di esse ha poi fatto tutte le cose che stanno in alto e dall’altra tutte le cose che stanno in basso. Ed è di queste due materie in potenza che la Scrittura dice: «All’inizio Elohim creò i cieli e la terra», che sono state create all’inizio. […]
Qui viene citato un rabbino, Nahmanide, che dà voce a una tradizione che parla di una materia prima da cui tutto è stato formato. Questo, fa notare il rabbino Abravanel, corrisponde a ciò che gli antichi filosofi chiamano «hylé», materia. Tuttavia, il rabbino Abravanel, ben informato sui concetti filosofici e sulle argomentazioni dei filosofi, cita Aristotele, il quale ci dice che non è possibile che esistano due materie in potenza distinte, poiché «ciò che è in potenza non può distinguersi né riconoscersi da ciò che è in potenza». E inoltre, egli risponderà che il cielo e la terra sono realtà ben dotate di forme, definite e visibili che non hanno nulla a che vedere con questa materia pura evocata dai filosofi.
איך יאמר הכתוב שברא השס השמים והארץ בעבור שברא מהם ההילי בלבד, בהיות ההיולי הדבר וחומרו הוא החלק היותר פחות שבו. ואיך יקרא החומר ההוא הפשוט בשם הנמצא השלם, המורכב מחומר וצורה שהוא שמים וארץ. וכל שכן שיקראם בה »א הידיעה השמים והארץ, שלא תיפול כי אם על הדבר המושג הנראה והידוע מאד, לא על החומר הכוחני הנעלם והחסר שלא עמד בכוחניותו רגע או רגעים. ושני: שאיך אפשר שיהיו נבראים שני חומרים כוחניים בלי צורה, ויהיו נבדלים זה מזה ? כי הנה ההבדל יבוא מצד הפועל והצורה, ומי שאין לו צורה כלל בהיולי לא יצוייר בו הבדל. וכמאמר הפילוסוף שמה שבכוח לא יוכר ויובדל ממה שבכוח
Come può la Scrittura dire che il Nome (cioè Dio) ha creato i cieli e la terra invece di dire che ha creato da essi solo la “hylé” (la materia prima)? Mentre la “hylé” è la sostanza e la sua materia è la parte più piccola che è in essa. Allora, come si può chiamare questa semplice materia con il nome che comprende il tutto: il composto di materia e forma che sono i cieli e la terra? Tanto più che l’articolo per «i» cieli e «la» terra è applicato a questi termini in quanto cose ben note, non a una materia in potenza, nascosta e imperfetta che sussiste nella sua potenzialità solo per un istante o due. Secondo: come è possibile che siano state create due materie in potenza senza forma e che siano distinte l’una dall’altra? Poiché la distinzione viene dall’agente e dalla forma. Ciò che non ha alcuna forma nella «hylé», come può distinguersi (da un altro)? Come afferma il Filosofo (Aristotele): «Ciò che è in potenza non si riconosce né si distingue da ciò che è in potenza».
Rabbi Abravanel afferma qui che ciò che dice la Scrittura non è compatibile con la creazione di una materia informe. La Scrittura afferma chiaramente che “il cielo” e “la terra” che sono stati creati corrispondono alle realtà ben note che sono composte da materia e forma. Ciò che è in potenza non è conoscibile finché non diventa in atto. Il concetto di essere in potenza è molto importante nella filosofia di Aristotele. Quando viene applicato alla materia prima informe, indica che essa può diventare qualcosa, può assumere una forma, ma questa non è conoscibile a priori, prima che sia in atto, cioè prima che sia diventata effettivamente tale o tale cosa esistente in atto. “In atto” è il termine che si applica a qualcosa che è effettivamente in una forma determinata, per opposizione a ciò la cui forma non è ancora determinata e che si dice quindi “in potenza”.
ואין לומר שהיו הצורות בחומרים בכוח, כדעת בן רשד בצורות חומריות כדעת בן רשד בצורות חומריות. כי הוא אינו דעת אמתי, ובפרט בצורה האנושית, שכולי עלמא מודו וגם בן רשד שאינה מכוח ההיולי, כל שכן שירוחק זה מצורות הגלגלים, כי בין שיהיו נפשות בהם או שכלים נבדלים, אי אפשר לומר שהיו בכוח החומר ומהכרחיותו
Non è nemmeno il caso di dire che le forme erano contenute in materie in potenza, come è l’opinione di Ibn Rushd (Averroè) sulle forme materiali, perché la sua opinione non è veritiera, in particolare riguardo alla forma umana, poiché tutti lo riconoscono e anche Ibn Rushd (Averroè) che essa non proviene dalla potenzialità della « hylé”, così come è lontana dalle forme delle sfere (celesti), che abbiano anime in sé o intelletti separati, non è possibile che siano in potenza nella materia né che provengano dalle sue necessità.
Rabbi Abravanel continua l’argomentazione contro i filosofi. Ibn Rushd (Averroè), famoso filosofo aristotelico dell’Andalusia (1126 Cordova-1198 Marrakech), affermava l’atto creatore pur sostenendo l’opinione di Aristotele sull’eternità del mondo. Infatti, egli afferma che anche se il mondo (e quindi la materia) esiste eternamente, ciò non toglie nulla all’atto creatore che lo ha creato e lo mantiene nella creazione dall’eternità. Ciò dipende sempre da lui, il volere una materia che sussista eternamente. Ciò non toglie nulla all’atto creatore che la fa esistere eternamente. Ma Abravanel argomenta contro questa ipotesi sostenendo che la materia può provenire dalla materia e derivarne, ma non lo spirito, l’anima. Questa proviene da un substrato diverso, che si tratti dell’anima umana o di quella degli angeli o degli intelletti separati. Gli antichi filosofi attribuivano infatti il moto perpetuo delle sfere celesti a intelletti separati da ogni forma corporea, che mantenevano le sfere in movimento, eternamente, non essendo soggetti alla corruzione e alla morte in quanto intelletti puri, immateriali e quindi incorruttibili. Questi non possono provenire da una materia, ma devono la loro esistenza a un atto creatore, poiché rispondono ad altre leggi.
התימה מהמפרשים הקדושים האלה, מי הכיסם בזה הדוחק להניח שנבראו ראשונה חומרים כוחניים מבלי צורות, שמהם נתהוו אחרי כן הדברים כולם. ולמה ברחו להיות נבראים הדברים כולם בצורותיהם בשלמותם. האם מפני שהניחו הפילוסופים חומר היילי בכוח נושא בהויה הטבעית, וילמדו מעשיהם. הנה הם בחרו להניחו, לפי שראו שההוויה לא תהיה מנמצא בפועל אל נמצא בפועל, וקבלו גם כן שההוויה לא תהיה מהעדר. ולכן הוצרכו להניח בהוויה נושא חומרי, נמצא בכוח – אמצעי בין המציאות והעדר. לא כאלה חלק יעקב, כי אנחנו נאמין שנתהווה העולם לא מדבר, אבל אחרי ההעדר הגמור. ואין לנו אם כן להניח היולי קודם בבריאה הראשונה. ס
Che stupore (suscitano) questi antichi commentatori, cosa può aver esercitato su di loro una tale pressione (che li ha spinti) ad assumere che le materie prime siano state create in potenza senza forme, che da esse siano poi derivate tutte le cose? E perché hanno supposto che da esse siano state create tutte le cose con le loro forme e le loro perfezioni? È forse a causa dei filosofi che sostenevano che la materia della «hylé» in potenza è il substrato della generazione naturale e che ne hanno appreso le opere? Ecco perché hanno scelto di sostenere le loro posizioni (dei filosofi), poiché hanno visto che ciò che viene all’esistenza non passa da un esistente in atto a un altro esistente in atto e hanno anche accettato che l’esistenza non viene dal nulla. Per questo sono stati costretti ad assumere l’esistenza di un substrato materiale, che si trova in potenza tra l’esistenza e il nulla. Non è così per la parte di Giacobbe (cioè per il popolo d’Israele), poiché noi crediamo che il mondo non sia venuto all’esistenza a partire da qualcosa, ma dopo il nulla totale. E quindi non dobbiamo sostenere una «hylé» prima della prima creazione.
Che stupore (suscitano) questi antichi commentatori, cosa può aver esercitato su di loro una tale pressione (che li ha spinti) ad assumere che le materie prime siano state create in potenza senza forme, che da esse siano poi derivate tutte le cose? E perché hanno supposto che da esse siano state create tutte le cose con le loro forme e le loro perfezioni? È forse a causa dei filosofi che sostenevano che la materia della «hylé» in potenza è il substrato della generazione naturale e che ne hanno appreso le opere? Ecco perché hanno scelto di sostenere le loro posizioni (dei filosofi), poiché hanno visto che ciò che viene all’esistenza non passa da un esistente in atto a un altro esistente in atto e hanno anche accettato che l’esistenza non viene dal nulla. Per questo sono stati costretti ad assumere l’esistenza di un substrato materiale, che si trova in potenza tra l’esistenza e il nulla. Non è così per la parte di Giacobbe (cioè per il popolo d’Israele), poiché noi crediamo che il mondo non sia venuto all’esistenza a partire da qualcosa, ma dopo il nulla totale. E quindi non dobbiamo sostenere una «hylé» prima della prima creazione.
Qui le due posizioni sono riassunte nella loro inconciliabile opposizione: coloro che fanno derivare tutto da un substrato, una sostanza, una materia preesistente per mezzo di un processo di generazione naturale e coloro che affermano la venuta all’esistenza dal nulla. Ciò che è sorprendente, e allo stesso tempo tipico del periodo rinascimentale, è che Abravanel conosce bene le opinioni dei suoi avversari, le ha studiate attentamente, si è preso la briga di conoscere i loro argomenti, i loro ragionamenti, ed è per questo che dialoga con loro, anche con quelli che hanno vissuto secoli prima di lui. Questi uomini, questi filosofi a cui si oppone sono diventati i suoi interlocutori, ai quali, in fondo, rivolge le sue obiezioni. Avrebbe potuto ignorare le opinioni contrarie, anche quelle dei suoi correligionari che le avevano adottate, ma invece ha passato la vita a studiarle e a rispondere. Come richiedeva l’educazione classica dell’epoca, ha studiato gli autori dell’antichità in tutta la loro diversità e ha seguito l’evoluzione del dibattito nel corso dei secoli, fino ai suoi contemporanei ebrei e non ebrei, come dimostrano più volte i suoi commenti.